di Vincenzo Rabito
Ediz. Supercoralli Einaudi – Pagg. 416 – € 18,50
A cura di Evelina Santangelo e Luca Ricci
«Se all’uomo in questa vita non ci incontro aventure, non ave niente darracontare». E Vincenzo Rabito, da raccontare, aveva una vita intera.
Il libro: Dobbiamo dire grazie al paziente e importantissimo lavoro che porta avanti l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano se quest’autobiografia di un semianalfabeta ha avuto il raro privilegio di venire alla luce per finire nel catalogo di un grande editore.
Un’esistenza guerreggiata. Passata attraverso le trincee della Prima guerra mondiale, le bombe della Seconda, il «rofianiccio» del Ventennio, il flagello di una suocera terribile, la fame atavica del Sud contadino, l’improvviso benessere della «bella ebica» del boom economico, e infine una privatissima ed estrema battaglia per consegnare ai posteri quest’autobiografia.
Con la sua lingua inventata giorno per giorno e il suo tragicomico, inarrestabile passo narrativo, Terra matta ci parla del carattere stesso del nostro Paese, stagliandosi, pagina dopo pagina, come una straordinaria epopea dei diseredati. Un bracciante siciliano si è chiuso a chiave nella sua stanza e ogni giorno, dal 1968 al 1975, senza dare spiegazioni a nessuno, ingaggiando una lotta contro il proprio semi-analfabetismo, ha digitato su una vecchia Olivetti la sua autobiografia. Ha scritto, una dopo l’altra, 1027 pagine a interlinea zero, senza lasciare un centimetro di margine superiore né inferiore né laterale, nel tentativo di raccontare tutta la sua «maletratata e molto travagliata e molto desprezata» vita.
Ne è venuta fuori un’opera monumentale, forse la più straordinaria tra le scritture popolari mai apparse in Italia, sia per la forza espressiva di questa lingua mescidata di italiano e siciliano, sia per il talento narrativo con cui Rabito è riuscito a restituire da una prospettiva assolutamente inedita più di mezzo secolo di storia d’Italia.
Imprevedibile, umanissimo e strepitosamente vitale, Terra matta ci racconta le peripezie, le furbizie e gli esasperati sotterfugi di chi ha dovuto lottare tutta la vita per affrancarsi dalla miseria; per salvarsi la pelle, ragazzino, nel mattatoio della Prima e poi della Seconda guerra mondiale; per garantirsi un futuro inseguendo (con «quella testa di antare affare solde all’Africa») il sogno fascista del grande impero coloniale in «uno miserabile deserto»; per arrabattarsi, in mezzo a «brecante e carabiniere», tra l’ipocrisia, la confusione e la fame del secondo dopoguerra; per tentare, a suo modo («impriaco di nobilità»), la scalata sociale con un matrimonio combinato e godere, infine, del benessere degli anni Sessanta, la «bella ebica» capitata ai suoi figli… ritrovandosi poi sempre, o quasi sempre, «come la tartaruca, che stava arrevanto al traquardo e all’ultimo scalone cascavo».
Il libro di Rabito è proposto per la prima volta al pubblico in una versione ridotta ma esattamente come lui l’ha scritto, senza cambiare neppure una parola di quelle che l’autore ha scolpito, a fatica, nell’ultima battaglia della sua guerreggiata esistenza.
Il commento di Francesco
Ho letto Terra Matta appena è uscito per l’editorte Einaudi. Una esperienza decisamente intensa, profonda, commevente e, al tempo stesso, piacevole e divertente. Un modo scanzonato e insieme emotivamente coinvolgente per rileggere e ripassare, dal suo interno, la Storia italiana del Novecento, ovvero dal punto di vista di chi l’ha vissuta e attraversata in prima persona.
Se si riesce a superare l’iniziale difficoltà nel confrontarsi con un linguaggio ostico e difficile, intriso di termini dialettali e punteggiatura anarchica, dopo le prime 15-20 pagine ci si abitua alla scrittura di Rabito e, davvero, non si abbandona più un libro intriso di fascino, avventura e tanta tanta commovente poesia.
Credo che chiunque, a cominciare dai giovani, dvrebbe leggere Terra matta.