Sabato scorso ho visitato la mostra di Tullio Pericoli settantaquattrenne pittore e illustratore marchigiano da 50 anni operante a Milano “Lineamenti. Volto e paesaggio”, presso gli spazi museali dell’Ara Pacis di Roma.
Non è una scoperta, per chi come me da più di 20 anni segue il suo operato artistico, di vignettista ma soprattutto di illustratore con uno stile inconfondibile e decisamente poetico cui ho sempre guardato per trarne ispirazione.
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Non una scoperta, dunque. Ma questa personale quasi “monotematica”, già intrigante oltre modo dal solo titolo, lascia davvero incantati, piacevolmente spiazzati, intensamente colpiti e attirati tanto da trovar difficile uscire dalla mostra.
Ogni opera, pur nella stretta continuità di stile come spesso anche di soggetto, sa rapire l’attenzione, si lascia osservare sotto angolazioni diverse, chiede di essere studiata nel dettaglio dopo averne còlto l’insieme. Una sessantina di schizzi preparatori a matita studi realizzati con diversa tecnica espressiva ma sempre solo a matita e dalla differente inquadratura del soggetto introducono 55 olii di grande dimensione di unica straordinarietà. Sono paesaggi e ritratti.
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Paesaggi e ritratti che offrono lo stesso principio indagatore dell’artista: essi sono, per Tullio Pericoli, un racconto pubblico o privato, esterno o intimo. E questo raccontare ora più nascosto, ora più esplicito si coglie assai bene nell’affrontare le singole tele esposte all’Ara Pacis. Soprattutto grazie alla tecnica espressiva con cui sono realizzate. Nel ritratto, afferma Pericoli, possiamo cogliere quel fantasma che vive dentro un volto: il racconto dello stesso.
Ecco, allora, che i volti prendono forma da lontano, emergono dalla luce quasi accecante e lattiginosa che s’impossessa della tela: percorsa, graffiata, stratificata dalla materia pittorica con estrema cura e pazienza ma al tempo stesso attraverso veemente intensità, la tela stessa restituisce lineamenti, caratteri, espressioni mutevoli a seconda dell’angolo di visuale, della luce che si rifrange su di essa, della distanza del punto di osservazione.
Il racconto del volto ritratto diventa una scoperta effettuata per gradi, fino a spingersi a pochi centimetri dal dipinto che diventa, così, astrazione pura tale da catturare curiosità e sguardo attraverso la meticolosità del tratto pittorico e materico con cui l’opera è trattata.
Ci si avvicina e poi allontana più e più volte: così ci si rende conto che a Pericoli bastano pochi tratti somatici per restituirci i fantasmi e l’anima di Beckett, Pasolini, Pollini, Scalfari, Gregotti, Caracciolo, Testori, Saviano e altri esponenti della cultura del Novecento. Volti che silenziosamente raccontano. Decisamente intrigante, poi, l’impaginazione di alcuni di questi volti nello spazio della tela: io ho trovato strepitoso il ritratto di Maurizio Pollini.
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Parallelamente c’è il racconto del paesaggio. Inevitabilmente, esso riporta al Piceno, nelle Marche, dove Tullio Pericoli è nato. La tecnica è la stessa. Il paesaggio si trasforma in un grande ritratto dai mille volti che, attraverso colpi di luce e graffi materici, raccontano tante storie, differenti punti di vista. Lo spazio delle campagne, delle colline, delle valli, dei calanchi e dei campi coltivati si frammenta in innumerevoli storie da percepire.
Si resta incantati per minuti, a osservarli e a osservare la voce del silenzio che essi esprimono. Attraverso una bellezza elegante, dolce, poetica ma anche vitale, intensa, decisa.
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A cogliere tutto questo, a gustare tutto ciò aiuta molto, decisamente, il perfetto allestimento della mostra che valorizza le opere e invita al silenzio, all’attenzione, al godere trattenendosi a lungo.
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