La premessa è lunga, ma necessaria.
Negli ultimi mesi abbiamo letto delle vicende giudiziarie di Roman Polanski, arrestato in Svizzera sulla base di un mandato di cattura spiccato negli Stati Uniti con l’accusa di aver avuto atti sessuali con una minorenne di tredici anni nel 1977.
La ragazza era stata attirata in un festino a casa di Jack Nicholson, Polanski (all’epoca 43enne) le aveva promesso una carriera di modella, poi l’aveva stordita con la droga e stuprata più volte.
Polanski aveva ammesso le proprie colpe, condannato a novanta giorni da trascorrere in una clinica psichiatrica, aveva scelto, dopo un periodo di quasi due mesi, la fuga all’estero.
Ma la legge è uguale per tutti, si dice, ed ecco che arriva l’arresto in Svizzera, un paio di mesi di detenzione ed altri nove, se ben ricordo, agli arresti domiciliari, nel suo chalet.
A prescindere dal fatto che la pena inflittagli a suo tempo, tutto sommato, mi pare lieve, rispetto a quella che avrebbe preso qualsiasi altra persona, c’è da dire che se avesse scontato i 90 giorni di ricovero in clinica, tutto questo non sarebbe successo.
Ma ha preferito evitare di scontare la pena, per cui tutto quello che è successo dopo, è da attribuire alla sua scelta, secondo me.
Ma passiamo oltre, una volta arrestato in Svizzera, ecco levarsi gli scudi da parte di intellettuali ed artisti, che lo difendono a spada tratta.
Dopo la sentenza a lui favorevole, leggo che il ministro della Cultura francese Frederic Mitterrand è soddisfatto perché Polanski può finalmente ritrovare la comunità di artisti che lo hanno sostenuto con calore e rispetto ed il filosofo Bernard-Henry Levy addirittura è pazzo di gioia perché, dice, giustizia è fatta.
Ah, giustizia è fatta?
Mi chiedo come mai nessuno si scandalizzi quando dopo 60 anni viene arrestato un soldato delle SS reo di aver ucciso (assassinato direi) qualche prigioniero nei lager.
Magari questo soldato si è pentito di quel che ha fatto, ha condotto una vita esemplare, forse si è pure riscattato agli occhi della società, eppure, lo arrestano, spesso lo condannano, lo fanno morire in carcere.
Se sia giusto o meno, non lo so, ma francamente ritengo che un crimine di natura violenta, che sia un omicidio, un crimine di guerra oppure uno stupro, tanto più su una minorenne, debba essere punito. Sicuramente può essere tenuta in considerazione la condotta successiva dell’imputato, ma possono 20 anni vissuti in maniera irreprensibile a cancellare la violenza fatta?
Dopo questa lunghissima premessa, vorrei parlare di una vicenda letta ieri, nella quale vedo un parallelismo con la vicenda di Polanski, anche se chiaramente non intendo paragonarlo al protagonista di questa storia; in questo caso non metto sul banco degli imputati il criminale, ma i 700 intellettuali che lo hanno sostenuto e che si sono messi in gioco in prima persona, firmando la petizione che lo ha poi portato ad essere liberato.
Nel 1974 a Vienna fu arrestato Jack Unterweger, accusato dell’ omicidio di una donna.
Era il culmine di una vita violenta; a sedici anni fu arrestato la prima volta proprio per un assalto a una prostituta. La sua carriera criminale era proseguita con furti, ricettazione, stupro e istigazione alla prostituzione.
Fu dichiarato uno “psicopatico sessualmente sadico con tendenze narcisistiche e istrioniche” e – siamo nel 1976 – condannato all’ergastolo. C’era il sospetto che fosse l’autore di un secondo omicidio, ma nonostante fosse già stato condannato, rifiutò di collaborare con le autorità.
In prigione, da quel semianalfabeta che era, in prigione iniziò a studiare, a leggere moltissimo, sino a trasformarsi in uno scrittore; prima di un’autobiografia e poi di racconti e romanzi di successo.
L’investigatore che aveva effettuato le indagini che avevano portato al suo arresto, aveva avuto modo di conoscere bene il criminale, e si era reso conto di quanto questi utilizzasse il proprio fascino, anche sulle guardie carcerarie, per ottenere praticamente tutto quello che voleva.
Sarà forse grazie al suo fascino che 700 intellettuali firmarono una petizione per scarcerarlo? Non lo so, tuttavia ci riuscirono. Unterweger diventò un giornalista e scrittore famoso. Però…
Però tra il 1990 ed il 1993, a Vienna, Los Angeles e Praga, uccise undici prostitute, strozzandole.
Queste sono le foto delle vittime americane: Exley, Rodriguez e Sherri Long. Erano delle prostitute.



Ma erano delle persone. Uccise da Unterweger.
Mi chiedo se questi intellettuali così pronti a difenderlo, siano mai stati sfiorati da un senso di colpa per averlo sostenuto sino a farlo liberare, nonostante una condanna all’ergastolo.
Mi chiedo se, per coerenza, gli siano stati vicini dopo la successiva condanna oppure se si sono allontanati disgustati da quell’essere violento.
Unterweger fu condannato per nove degli undici omicidi, in quanto due delle vittime trovate in Austria erano in uno stato di decomposizione tale che non era stato possibile risalire alla causa della morte.
Unterweger si suicidò in carcere, impiccandosi. Ma la sua storia non finisce qui.
La sua storia è diventata uno spettacolo teatrale con John Malkovic e musiche barocche del 600-700.
L’attore ha dichiarato: Conoscevo la storia di Unterweger, quel personaggio mi ha sempre affascinato….non siamo riusciti a trovare un protagonista così ho deciso di diventare io il serial-killer.
Ci spaventano quei giovani che vivono con il mito della Mafia (leggi: Saviano, il Clan dei Casalesi, l’omertà…) e poi Malkovic (ma non solo lui, ovvio) trova affascinante un serial killer.
Foto tratte da: www.crimine.net