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Il recupero degli pneumatici usati

Qualche numero giusto per capire le dimensioni del problema.

In Italia sono immessi sul mercato ogni anno circa 22 milioni di pneumatici per auto, oltre 2 milioni per le due ruote, 1,5 milioni per autocarri ed autobus e 170.000 per mezzi industriali ed agricoli.

Il mercato automobilistico è stabile, per cui si può ipotizzare che entrino nel mercato la stessa quantità di gomme fuori uso che entra nel ciclo dei rifiuti.

Ogni anno sono destinati alla ricostruzione circa 40.000 tonnellate di pneumatici e che quindi non rientrano nei rifiuti ed altre 350.000 Tonn. (dato 2009) sono esportate così come sono (tal quali).

L’obbligo di raccolta e recupero delle gomme usate è a carico di produttori ed importatori, per cui i principali produttori hanno dato vita al consorzio Ecopneus che non gestisce direttamente gli impianti di riutilizzo, ma si avvale di oltre 50 aziende, distribuite sul territorio e che effettuano la frantuimazione e recupero dei PFU (Pneumatici Fuori Uso) tal quali.

Si tratta di una capacità più che sufficiente in rapporto ai PFU disponibili, ma il sistema è da perfezionare in quanto il 26% dei PFU è smaltito in modo non controllato e/o autorizzato.

Sino al 2003 il canale di smaltimento era la discarica, poi vietato dalla direttiva 1999/31/CE (da noi recepita solo nel 2003!), ma in contemporanea dovevano svilupparsi forme alternative di gestione del rifiuto, cosa che però non è ancora avvenuta o, perlomeno, non in maniera sufficiente.

Lo smaltimento corretto di questi rifiuti ovviamente ha dei costi e molti lo aggirano mediante lo smaltimento illegale, cosa questa subito presa in mano dalla criminalità, con la compiacenza di aziende che operano illegalmente.

Secondo un rapporto presentato da Ecopneus e Legambiente, ogni anno sono smaltite illegalmente 100.000 Tonnellate di PFU, principalmente mediante le discariche abusive. Dal 2005 ad oggi ne sono state scoperte oltre un migliaio, per un’area complessiva che corrisponde a circa 800 campi da calcio.

Si utilizza anche la combustione illegale, peraltro più facile da scoprire, in quanto causa un denso fumo nero, ma talvolta si utilizzano questi roghi per mascherarne altri con i quali si bruciano altre sostanze tossiche. Esiste poi l’esportazione illegale (non autorizzata) con destinazione Cina e Malesia.

Il più importante canale di smaltimento è quello della termovalorizzazione, cioè il recupero di energia dal combustibile derivato dal PFU ed interessa il 40% dei PFU prodotti in un anno.

Dal mio punto di vista trovo ironico che poichè i PFU contengono il 27% in peso di gomma naturale e fibre della cellulosa, gli impianti che bruciano questo 27% lo possono considerare come un combustibile da fonti rinnovabili ed usufruire delle relative agevolazioni.

Leggo che i principali canali di recupero energetico, in Italia, sono i cementifici (60.000 tonn/anno) dove le elevate temperature (oltre 1400 °C) assicurano al combustione completa, senza residui di idrocarburi aromatici nei fumi di combustione, con ridotte emissioni di diossina, di NOx e So2.

Però se così fosse, vien da chiedersi perchè il Tar del Veneto abbia accettato il ricorso contro il cementificio e annulla tutte le delibere della Provincia per quanto riguarda la quantità di rifiuti usati nel processo di produzione del cemento. (Vedi anche il servizio di Report: clicca QUI)

Nei canali di recupero tramite recupero energetico, ci sono poi le centrali termoelettriche che impiegano 45.000 Tonn/anno.

Altre 30.000 Tonn/anno sono assorbite dal settore dei granulati di PFU, con i quali si realizzano campi in erba artificiale, piste da atletica ed altre pavimentazioni in ambito sportivo, si arredo urbano e stradale.

Solo 100 Tonn./anno sono invece impeigate per la produzione di asflati modificati, fonoassorbenti e drenanti, ma ci si aspetta che tale valore aumenti nel tempo.

Fonte: Hi-Tech Ambiente Aprile 2011