un articolo di Roberto La Pira che leggo su Il Fatto Alimentare
Un anno fa giornali e tv preannunciavano dal 1 gennaio 2011 la fine dei sacchetti di plasticain polietilene (PE), e la loro sostituzione con borse completamente biodegradabili in 180 giorni, da riutilizzare in casa per la raccolta differenziata dei rifiuti organici (cibo e altro).
A distanza di 12 mesi il cambiamento è avvenuto solo in parte. La situazione è confusa perché nei supermercati si trovano i nuovi sacchetti biodegradabili, mentre in molti negozi tradizionali, nelle bancarelle degli ambulanti, nelle farmacie e in numerosi punti vendita ci sono ancora i vecchi sacchetti di polietilene. In questi mesi è apparsa anche una nuova generazione di finti sacchetti ecologici di bioplastica che contengono componenti non biodegradabili e sono appena arrivati sul mercato i nuovissimi contenitori di plastica riciclata.
«Il funerale del polietilene non c’è stato – spiega Luca Foltran responsabile della divisione packaging dell’Istituto certificazione qualità (ICQ) – perché la legge n° 296 del 2006 stabilisce l’obbligo di utilizzare sacchetti biodegradabili, ma i decreti attuativi non sono mai stati approvati. In assenza di questi parametri e dell’indicazione sul periodo massimo di dissoluzione, la legge risulta svuotata e i cambiamenti sono stati affidati alla buona volontà degli operatori».
Va detto che il legislatore non doveva inventare nulla, doveva solo applicare la norma europea EN 13432:2002 utilizzata nei comuni per i sacchetti compostabili e biodegrabili adibiti alla raccolta dell’umido. È di questi giorni la notizia che nel decreto “Mille proroghe” del governo Monti, è sparito ogni riferimento alle norme attuative per i sacchetti di plastica.
Questo vuol dire che la situazione attuale è destinata a continuare, fino a quando non verrà adottato il provvedimento misteriosamente sparito, che però dovrebbe essere ripresentato secondo quanto dichiarato dai ministri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente in questi giorni.
Come distinguere i sacchetti veramente biodegradabili?
«Per essere sicuri di non essere presi in giro – precisa sempre Foltran – bisogna fare riferimento alla dicitura di conformità della norma EN 13432:2002 e cercare sul sacchetto la frase “Prodotto biodegradabile conforme alle normative comunitarie EN 13432” che di solito viene riportata lateralmente o nella zona frontale. Una seconda possibilità è di cercare i marchi che attestano la certificazione della biodegradabilità come “OK Compost” e “ Compostable”. Tali loghi sono inoltre dotati di un codice seguito da un numero (Sxxx o 7wxx) riferito a ogni azienda produttrice che deve assicurare anche la tracciabilità».
Il cambiamento vero si è registrato quindi solo nei supermercati, che hanno deciso volontariamente di sostituire i vecchi contenitori in polietilene con i nuovi sacchetti “mollicci“ biodegradabili al 100% ottenuti da amido di mais, di patata o poliestere.
La novità non è piaciuta ai consumatori perché i biodegradabili sono morbidi e abbastanza resistenti, ma costano il doppio rispetto ai precedenti (10 centesimi al posto di 5) e si lacerano facilmente a contatto con angoli o spigoli delle confezioni.
Per questo motivo i supermercati sono corsi ai ripari e hanno inserito nell’assortimento a prezzi convenienti (da 1 a 2,5 euro) bellissime borse multicolore, pieghevoli resistenti e riutilizzabili in cotone, carta di riso, tela, tessuto non tessuto, polipropilene.
«L’operazione ha funzionato molto bene – spiega David Newman segretario dell’Associazione Italiana Bioplastiche – è vero che la legge è incompleta ma milioni di consumatori hanno cambiato abitudini. Un’inchiesta condotta nel corso dei primi sei mesi di quest’anno in Toscana ha appurato che i clienti nei supermercati Coop usano il 58 % in meno di sacchetti a favore di borse di tela e altri materiali riutilizzabili. Il cambiamento è importante perché gli italiani detenevano il record europeo come utilizzatori di borse di plastica con il 25% del totale».
Anche nella grande distribuzione però, non tutto però è perfetto, perché i sacchetti e i guanti usati per scegliere la frutta e la verdura sono i polietilene e quindi non biodegradabili.
In questi mesi è apparsa in molti negozi una nuova generazione di borse in plastica che possiamo definire “diversamente biodegradabili”. Sono facilmente riconoscibili perché presentano un’elevata resistenza e riportano delle scritte con richiami all’ambiente e all’ecologia che confondono le idee.
La gente è convinta di comprare shopper ecologiche, invece si ritrova con borse di polietilene additivato con sostanze che con la luce dovrebbero favorire la frammentazione della plastica.
Alla fine del processo di sbriciolamento il contenitore si trasforma in minuscoli frammenti di plastica dispersi nel terreno e rappresentano un problema per gli animali che li possono mangiare e per l’ambiente. I finti sacchetti ecologici definiti oxodegradabili, sono molto utilizzati perché sono più resistenti, costano meno rispetto alle vere shopper biodegradabili, ma sono venduti allo stesso prezzo.
«La soluzione migliore – propone Enrico Maria Chialchia, direttore di Unionplast – è forse quella dei sacchetti ottenuti da plastica riciclata realizzati da alcune imprese italiane che, prime in Europa, hanno messo a punto la nuova tecnologia. Si tratta di borse poco costose che, grazie alla loro robustezza, si riutilizzano più volte e sono ottenute da plastica proveniente dalla raccolta differenziata.
La distribuzione è ancora a livello sperimentale in alcune catene di supermercati. L’aspetto interessante è che per la produzione vengono impiegati, come detto, scarti di polietilene, che da problema diventano risorsa; si riconoscono dal momento che riportano il marchio “Plastica Seconda Vita”».
In questa situazione registrano un vero boom di vendite i sacchetti neri in polietilene destinati alla spazzatura domestica che hanno definitivamente sostituito le vecchie shopper della spesa.
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Ottimo articolo!! Io in realtà cerco di usare solo sacchetti di tela, me ne porto costantemente uno dietro.