in sintesi un articolo di Agnese Codignola che leggo su Il Fatto Alimentare
Anche l’Agenzia americanache vigila sulla sicurezza di farmaci e alimenti (Food and Drug Administration, FDA) si schiera contro il bisfenolo A (BPA) nei biberon e nelle stoviglie per bambini.
Rispetto alle altre autorità sanitarie lo fa con insolita lentezza, dopo una specifica sollecitazione dei produttori, e specificando che le nuove regole valide per i contenitori in policarbonato dei bambini non valgono per gli imballi, perché il BPA è sicuro.
L’ente regolatorio statunitense accoglie l’invito dell’American Chemistry Council e formalizza quello che è già un dato di fatto, perché da tempo le aziende hanno sostituito la plastica tradizionale con altre prive di BPA, in seguito al crescente allarme degli esperti e dell’opinione pubblica sull’argomento.
Il BPA è ormai universalmente ritenuto un distruttore o quantomeno un interferente endocrino, cioè una sostanza che, una volta entrata in contatto con l’organismo, provoca squilibri ormonali e danni neurologici.
Anche l’Unione Europea, per ora, ha vietato solo l’impiego dei policarbonati con BPA nei biberon, ma non negli altri contenitori per alimenti, e l’EFSA, nel 2011, ha ribadito che il BPA non comporta rischi, e rinviato una possibile revisione dei valori di riferimento a fine 2012.
Ciò ha spinto diversi Paesi di tutte le latitudini a mettere in atto normative molto più restrittive, sulla scia di quanto già fatto per esempio in Canada o in Francia e in alcuni paesi nord-europei.
La stessa tendenza si registra da parte di molte grandi aziende, oltre a quelle di prodotti per l’infanzia, che cercano di modificare i processi produttivi e i materiali usati per eliminare il BPA; la Campbell Soup, per esempio, ha rinunciato alla banda stagnata delle latte delle sue celebri minestre, che era piena di BPA, a favore di nuove plastiche BPA-free.
La situazione è dunque in evoluzione, anche se ci vorrà molto tempo prima che si giunga a un atteggiamento condiviso e quindi efficace, soprattutto perché il BPA è ancora una sostanza ubiquitaria.
Secondo uno studio dell’Università di San Francisco uscito pochi mesi fa e condotto su circa 2.000 persone, è presente nel 96% della popolazione e passa attraverso il latte materno e il cordone ombelicale. La sua scomparsa definitiva dall’organismo umano si potrà raggiungere solo molti anni dopo la totale messa al bando a livello internazionale, come avvenuto per esempio per sostanze quali il DDT, con costi astronomici.
Un messaggio positivo in tutta questa storia c’è: quando l’opinione pubblica, debitamente informata, si mobilita davvero, ottiene risultati che precedono e in certi casi superano, per dimensioni, il tardivo recepimento delle richieste di applicazione del principio di precauzione da parte di autorità sanitarie.
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