Pensavo proprio di aver sbagliato giorno l’altro ieri, quando sono arrivato a Monza. Non ricordavo esattamente quando avrebbero aperto il mitico tunnel della SS36 che eliminerà le code perpetue sul tratto alle porte di Milano di questa superstrada nevralgica, che collega mezza Brianza, mezzo Lario e la Valtellina al resto d’Italia ed è uno dei percorsi più gettonati dai pendolari (loro malgrado).
Mi avevano detto che il tunnel era già aperto e sono andato a vedere com’era. Ma ho trovato ancora segnaletica di cantiere e la solita coda.
Inaugurazione rimandata?
No, anzi: come spesso accade, era stata anticipata rispetto al completamento effettivo di tutti i lavori. Quindi, si è verificato il solito, prevedibile effetto: nel tunnel vero e proprio si scorre, ma poi arrivano una strettoia e un semaforo pedonale.
Ovviamente, più scorri prima e più t’intruppi dopo: il “percorso di guerra” che c’era prima, con le sue chicane e un paio di ulteriori semafori, filtrava i passaggi e li diluiva, rendendo meno evidenti le code.
Tutto scientificamente noto. Così come era noto che la strettoia e il semaforo residui sarebbero rimasti ancora, fino a giugno pare. Quindi, l’Anas e il Comune di Monza sapevano benissimo che ci sarebbero state le code.
E allora perché nelle ultime settimane hanno tanto enfatizzato l’inaugurazione?
Così facendo, hanno alzato le aspettative della gente, rischiando un effetto-boomerang.
Certo, il tunnel è la galleria sotterranea urbana più lunga d’Europa (1,8 chilometri) e va a risolvere un problema ultratrentennale in una delle aree più importanti del Paese.
Ma costava così tanto annunciarne l’inaugurazione spiegando alla gente che probabilmente ci sarebbero stati ancora disagi nei primi tempi?