Sul Sole 24 Ore (del 2 novembre) ho anticipato la notizia che, dopo la sciagura di Acqualonga e due mesi d’inerzia, il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, si è convinto che le regole attuali sui guard-rail vanno riscritte.
Le nuove regole potrebbero imporre ciò che i gestori di strade non hanno ancora fatto spontaneamente nei vent’anni in cui sono state in vigore le vecchie.
E cioè sostituire tutte le barriere concepite prima che le vecchie regole fissassero i requisiti dei crash test da superare per ottenere l’omologazione.
Ma un’eventuale campagna di sostituzione aprirebbe ulteriori problemi. Le barriere attuali sono molto più efficaci, ma anche ma molto più pesanti e ingombranti. Ciò impone – su ponti e viadotti – di rinforzare o rifare i cordoli di cemento su cui le barriere poggiano.
Inoltre, spesso non ci sono spazi: si dovrebbero allargare i viadotti (operazione al limite dell’impossibile e comunque costosissima) o di installare speciali piastre, a mo’ di “prolunga”.
Le caratteristiche delle strade amplificano anche il problema del corretto montaggio, affrontato dal Regolamento di attuazione del Codice dei contratti pubblici (Dpr 207/2010): l’articolo 79, comma 17 prescrive che, quando s’installa una barriera, per superare il collaudo occorre anche un certificato di corretto montaggio.
Quest’obbligo è stato impugnato da quasi tutti i principali costruttori di opere pubbliche italiani, ma lo scorso aprile il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso, ritenendo che la norma sia ragionevole e fondata su necessità effettive.
Ora non resta che applicarla.