1912, Brooklyn. Francie Nolan è una bambina irlandese di undici anni che aspetta il sabato a braccia aperte.
Non solo perché di sabato gli uomini ricevono la paga e possono andare a ubriacarsi nei bar, invece che in casa. Ma anche perché Francie, assieme a suo fratello Neely e a tutti i bambini del quartiere, di sabato raccoglie carta, pezzi di metallo e la stagnola che trova nei pacchetti di sigarette, e li vende allo straccivendolo in cambio di qualche cent.
Il resto della giornata, poi, è un continuo e sorprendente girovagare. Francie cammina lungo Manhattan Avenue, imbocca Johnson Avenue (ormai patria degli italiani) e si spinge fino al quartiere ebraico, e a Broadway, dove si ferma a guardare i piccoli carretti che riempiono la strada, gli uomini barbuti con gli zucchetti di alpaca, i bambini che giocano tra i rigagnoli, i vestiti orientali dai colori vivaci stesi ad asciugare sulle scale antincendio…
Fosse per Francie, passerebbe tutto il giorno in strada. Non a caso, anche quando è a casa, trascorre le ore in cortile a guardare “l’Albero del Paradiso”, l’unica pianta del quartiere che è riuscita a germogliare tra il cemento degli edifici popolari.
E’ l’unico modo per non vedere sua madre che, a ventinove anni, è costretta a spaccarsi la schiena e a lavare pavimenti per mantenere lei e gli altri figli. Ma, soprattutto, è l’unico modo per evitare di incontrare suo padre, “Johnny il bello”, perennemente attaccato alla bottiglia, o di sentire i pettegolezzi sulla “generosità” di sua zia nei confronti degli uomini.
E mentre se ne sta seduta in cortile, Francie sogna di essere migliore di tutti loro: una donna sensibile, vera – forte come l’Albero del Paradiso.
Nominato dalla New York Public Library come uno dei grandi libri del secolo appena trascorso, e portato sul grande schermo dal grande regista Elia Kazan, Un albero cresce a Brooklyn è una splendida storia di miseria e riscatto, di sofferenza ed emancipazione.