Nei giorni scorsi, una volta di più, (vedi link qua sotto) ho sentito il Ministro Alfano parlare di costruzione di nuovi carceri per far fronte al sovraffollamento di detenuti. A prescindere dal fatto che penitenziari nuovi, ne abbiamo a iosa, ma inutilizzati a causa di mancanza di personale, c’è anche da dire che la costruzione di un nuovo carcere richiede (in Italia) parecchi anni, ma il problema del sovraffollamento è attuale. Bisogna trovare ORA una soluzione. E l’indulto, non è stata una soluzione come si è visto. Sono per la certezza della pena, ma resto dell’idea che il carcere debba essere anche una via d’uscita per chi spazio di miglioramento davanti a sè, ne potrebbe avere. Per gente come i mafiosi & C., il carcere mi va bene durissimo.
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La recidiva dei detenuti è alta, troppo, ma anche a causa di un sistema carcerario che non offre vie d’uscita alla maggior parte dei detenuti, se non quella di tornare a delinquere. Ma il carcere di Bollate, diretto da Lucia Castellano, dimostra che è possibile modificare le cose se si vuole, così come si capisce leggendo l’intervista che segue.
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Un intervista di Marco Palombi – Fonte: Vanity Fair
«La prima cosa da fare è decongestionare le prigioni. Ogni altro discorso non ha senso: il sistema penitenziario ora non è in grado di garantire diritti». Lucia Castellano, in quel sistema, ci lavora dal 1991, gli ha dedicato un bel libro (Diritti e casNghi, Il Saggiatore, scritto con Donatella Stasio) e tenta di migliorarlo facendo ildirettore del carcere di Bollate, a Milano.
Una «struttura modello» la chiamano, per dire semplicemente che funziona: è un «carcere aperto», dove «il detenuto si riappropria del proprio tempo: viene monitomto ma non organizzato. C’è il lavoro, la scuola, la palestra: ovviamente, tutto all’interno di un sistema di regole».
In un “carcere chiuso” la vita com’è?
«Colazione, aria, pranzo, aria, spazi di socialità (se ci sono), doccia (quando si può fare), cena. Risultato: il detenuto sta in cella 18-20 ore al giorno».
Voi però avete detenuti «selezionati»
«La selezione viene fatta tra i detenuti “comuni”: sono esclusi, ad esempio, i mafiosi. Ma non è che scegliamo i più buoni: vogliamo soltanto persone che aderiscano a un progetto di recupero, motivate e psicologicamente in grado».
In che senso?
«Il carcere aperto è difficile: devi abituarti a muoverti da solo e non a essere mosso dagli agenti, non devi rubare nonostante sia tutto aperto, dalle celle ai frigoriferi. E poi devi saperconvivere senza il controllo assiduo dei poliziotti».
Risultati?
«Gli eventi critici sono stati pochissimi: a Bollate nessuno si taglia, le risse si contano sulle dita di una mano, è un posto molto tranquillo».
Perché allora non fanno tutti così?
«La vecchia cultura della sicurezza – il detenuto va chiuso a chiave – è dura a morire, ma non paga: l’aveva capito già Beccaria e lo dice pure la legge. Se non si capisce che si hanno davanti persone che conservano diritti, il carcere non produrrà mai libertà, che è invece proprio la sua missione».
Missione difficile.
«Vero, ma se il problema del Paese è la sicurezza, la risposta non può essere solo carcere, un posto peraltro che in queste condizioni restituisce alla società persone peggiori di quando sono entrate. A Bollate la percentuale di recidiva, cioè di chi commette reati unavolta uscito, è del 19% circa, nelle carceri chiuse del 68%. Se pensa che, secondo il Parlamento, ogni punto di recidiva costa 51 milioni di euro l’anno..
Insomma, bisogna cambiare.
«Per fare la rivoluzione basterebbe applicare la legge: pensare una prigione che si apra progressivamente all’estemo,accompagnando il detenuto verso la libertà. E poi bisognerebbe potenziare le pene altemative».
Parliamo del sistema nel suo complesso. Com’è, visto da lei?
«Intanto le carceri sono spesso molto vecchie – e quindi inadeguate -, mentre quelle contemporanee sono grandi cubi di cemento, tutti uguali, non pensati per chi ci deve abitare». E poi ci sono le emergenze. ll sovraffollamento, condizioni igienico-sanitarie pessime, aumento dell’aggressività, soprattutto dei suicidi. Poi la mancanza di fondi e la cattiva distribuzione del personale. quasi tutto al Sud».
Servono nuove carceri?
«Se la scelta politica è questa, ne serviranno sempre di più. E probabilmente non basteranno».