Concordo con quanto scrive nell’articolo Stella e credo che i politici di entrambi gli schieramenti abbiano perso, una volta di più, l’occasione di fare la cosa giusta ovvero fare un passo indietro e stare un pò zitti.
Tolte le dichiarazioni di condanna, sentite o di facciata, resta il fatto che il clima politico attuale, una volta di più ha tracciato nuovi confini, in peggio. Sarebbe stato intelligente se tutti insieme avessero fatto un comunicato bipartisan nel quale annunciassero un silenzio stampa fino al nuovo anno.
I confronti politici li facciano in Parlamento, toni accesi, ma nel rispetto dell’altro, anche se ho i miei dubbi, vista l’alto tasso di protagonismo di molti politici, incluso Berlusconi.
Niente interviste a caso, per i politici con cariche pubbliche, ma solo incontri programmati con la stampa, dando il giusto spazio a tutti, inclusi i giornalisti d’opposizione, purchè facciano il loro mestiere e non mandino in edicola dei quotidiani di gossip.
Gli altri, parlino con moderazione, niente annunci ad effetto, proclami, ecc. I politici facciano i politici e non i sobillatori di questo o di quello che prima o poi lo trovano quello che prende per oro colato le loro parole. Oggi un soprammobile, ma la prossima volta?
Il commento di Severgnini è altrettanto condivisibile, ma credo che si debba fare un distinguo tra censurare la Rete a prescindere, il che non va bene, e colpire innmodo selettivo chi chiaramente incita alla violenza e/o inneggia a personaggi in odor di criminalità e/o illegalità.
Penso ad esempio a quel gruppo su Facebook che ha un gioco che inneggia alla mafia, dove si può scegliere se fare il sicario, lo spacciatore o chiedere il pizzo, mediante diverse tecniche intimidatorie e, di conseguenza, fare carriera nella criminalità.
Si dice che sia un gioco. A parte che già vediamo atti di violenza commessi per imitare certi videogiochi, così come sulle strade si vedono giovani guidare in maniera spericolata come se fossero dentro ad un gioco, dimenticandosi che nella vita vera “Game over” siggnifica proprio che è finita, anche se speso i danni li subiscono quelli che non c’entrano.
Pochi, mi piacerebbe dire nessuno, apprezzerebbe un gioco sulla pedofilia, mi chiedo perchè invece sia accettabile tutto il resto, dalla mafia, all’uccisione (desiderata o meno) di un politico, chiunque esso sia.
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Ma davvero «in democrazia un cittadino deve avere il diritto di dire le sciocchezze più grandi che crede», come teorizzò nel 2003 l’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli mettendosi di traverso alla legge europea che voleva ridefinire i reati di razzismo e xenofobia?
Roberto Maroni, vista l’immondizia che trabocca online a sostegno dell’uomo che ha scaraventato una statuetta in faccia a Silvio Berlusconi (c’è chi si è spinto a scrivere: «Gli doveva rompere il cranio a quel testa d’asfalto!») pensa di no. E ha ragione.
Se è vero che la nostra libertà finisce là dove inizia la libertà degli altri, anche la libertà di parola, cioè il bene più prezioso dell’oro in una democrazia, ha un limite. Che non è solo il buon senso: è il codice penale.
Ci sono delle leggi: l’istigazione a delinquere e l’apologia di reato vanno puniti. Uno Stato serio non può tollerare che esista una zona franca dove divampa una guerra che quotidianamente si fa più aspra, volgare, violenta.
Come ha spiegato Antonio Roversi nel libro «L’odio in Rete», il lato oscuro del web «è popolato da individui e gruppi che, pur nella diversità di accenti e idiomi utilizzati, parlano tutti, salvo qualche rara ma importante eccezione, il linguaggio della violenza, della sopraffazione, dell’annientamento ».
Tomas Maldonado l’aveva già intuito anni fa: «In queste comunità elettroniche cessa il confronto, il dialogo, il dissenso e cresce il rischio del fanatismo. Web significa Rete ma anche ragnatela. Una ragnatela apparentemente senza ragno, dove la comunicazione, a differenza della tivù, sembra potersi esercitare senza controllo».
Ma più libertà di odio è più democrazia? È una tesi dura da sostenere. E pericolosa. Perché, diceva Fulvio Tomizza, che aveva visto il suo piccolo paradiso istriano disintegrarsi in una faida etnica un tempo inimmaginabile, «devono ancora inventarlo un lievito che si gonfi come si gonfia l’odio».
Colpire Internet, dicono gli avvocati di Google denunciata per certi video infami su YouTube ( esempio: un disabile pestato e irriso dai compagni) «è come processare i postini per il contenuto delle lettere che portano». E lo stesso ministro degli Interni non si è nascosto la difficoltà di avventurarsi in battaglie internazionali contro un gigante immenso e impalpabile.
Peggio, c’è il rischio di far la fine dello scoiattolino dell’«Era glaciale»: a ogni forellino che tappa, l’acqua irrompe da un’altra parte. Ancora più rischioso, però, sarebbe avviare una (giusta) campagna contro solo una parte dell’odio online.
Trascurando tutti gli altri siti che tracimano di fiele come quelli che impunemente scrivono d’un «olocausto comunista perpetrato dalla mafia razzista ebraica responsabile dello sterminio di 300 milioni di non ebrei», di «fottuti schifosi puzzoni stramaledetti sporchi negri mangiabanana », di «maledetti zingari immigrati razza inutile sporca da torturare», di respingimenti da abolire perché «la soluzione a questi problemi è il napalm, altro che rimpatri».
Non puoi combattere l’odio se non lo combatti tutto. Andando a colpire sia i teppisti razzisti che sputano online su Umberto Bossi chiamandolo «paralitico di m.» sia quanti aprono gruppi di Facebook intitolati «Io odio Di Pietro» o «Uccidiamo Bassolino».
Mai come stavolta, però, il buon esempio deve venire dall’alto. Occorre abbassare i toni. Tutti.
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Beppe Severgnini
Lanciarsi contro Internet perché qualcuno scaglia un souvenir appuntito al presidente del Consiglio appare bizzarro. La Rete non è stata né causa né strumento della violenza di domenica. E’ stato però il teatro delle conseguenze. Brutte. La crudeltà di chi festeggia il dolore altrui.
La vigliaccheria di chi sparla e non firma. L’irresponsabilità di chi incita alla violenza — una tragedia che l’Italia ha conosciuto e non ha dimenticato. È arrivato il momento di mettere regole a Internet?
Prima di rispondere, è bene che qualcuno si prenda la briga di capire — e poi di spiegare — a cosa le stiamo mettendo. La sensazione è che molti, tra quanti oggi maledicono Facebook e accusano Twitter, non siano mai entrati in un social network, non abbiamo mai inviato un tweet né cliccato il pulsante «pubblica» di un blog.
Vedremo cosa proporrà il ministro Maroni al Consiglio dei ministri, domani. «Misure delicate che riguardano terreni come la libertà di espressione sul Web e quella di manifestazione», ha anticipato. Speriamo non sia una norma inapplicabile come l’abolizione dell’anonimato (non ci sono riusciti i cinesi, che di censura se ne intendono); e neppure un decreto contro generici «siti estremisti».
Cosa vuol dire, infatti, «estremista»? A giudicare dal dibattito (?) alla Camera di ieri, infatti, molti deputati definirebbero così l’homepage dei colleghi che non la pensano come loro.
Non c’è bisogno, forse, di norme nuove. Ingiurie, minacce, apologia di reato, istigazione e delinquere: nel codice penale ci sono già, come ha scritto ieri Stella sul Corriere , e dovrebbero bastare. A meno di considerare la Rete come uno stadio virtuale: una zona franca dove comandano gli ultras, e tutto è lecito.
Per anni abbiamo difeso Internet distinguendo tra il mezzo e il messaggio (se qualcuno ci offende al telefono, non diamo la colpa al telefono; se qualcuno delira su Internet, perché prendersela con Internet?). Oggi — bisogna ammetterlo — le cose sono cambiate.
Le interazioni del web 2.0 (blog, forum, chat, Wikipedia, YouTube, Facebook, Myspace, Twitter, eBay…) hanno creato un mondo. Internet non è più, come negli anni 90, un binario su cui viaggiano insieme il bene e il male (la solidarietà e la pedofilia, l’amicizia e la xenofobia).
Luca Sofri lo ha spiegato ieri su wittgenstein. it : «Quando il mezzo ha una potenza quantitativa straordinaria, questa si riverbera sulla qualità delle cose e determina cambiamenti. Limitarsi a definirlo ‘neutro’ non è sufficiente».
Ci sono, poi, alcune caratteristiche italiane. Internet raccoglie giovani umori anti-berlusconiani che, in tv, non arriveranno mai; e sui giornali non hanno più (o ancora) voglia di arrivare.
Alcuni legittimi e articolati; altri aggressivi e sgangherati. Ma è curioso notare come umori simili appaiano nei siti d’informazione, nei blog e nei social networks internazionali. I commenti, dopo l’aggressione di piazza Duomo, sono divisi quanto in Italia, se non peggio.
Conduco Italians da 11 anni, conosco gli umori che girano nella Rete. So che esiste un cuore oscuro di Internet, ma ho imparato ad apprezzarne l’anima chiara e pulita. La Rete è il luogo dove qualcuno strilla «Ecce (d)uomo!», credendo d’essere spiritoso; ma dove Sabina Guzzanti, che spiritosa è davvero, ha messo frasi di buon senso nel suo blog.
Facebook è il posto dove il gruppo «fan di Massimo Tartaglia» contava 68 mila iscritti, il giorno dopo l’aggressione; ma ora è sparito e altri gruppi che inneggiano allo squilibrato armato di souvenir sono rimasti senza amministratore.
Lo stesso è accaduto ai gruppi farlocchi che, dopo aver cambiato nome, inneggiavano a Berlusconi. Chiusi. Twitter, che qualche giorno fa ha esordito anche in italiano, è il luogo dove si trovano centinaia di rimandi interessanti e commenti fulminanti in molte lingue. Quelli volgari e violenti basta non seguirli più (unfollow).
Morale? Anche gli imbecilli hanno facoltà a esprimere la propria opinione, e in questi giorni — bisogna dire — se ne sono avvalsi.
Basta non insultare, diffamare o minacciare.
Per chi commette questi reati, ci sono la polizia postale e i magistrati. Vogliamo combattere gli eccessi di Internet? Benissimo: rendiamo più efficaci e rapidi i tribunali. Ma forse è meglio non dirle queste cose, in Italia.
Appena si parla di giustizia, infatti, molti insultano e minacciano. Non in Rete: in Parlamento.
Fonte: www.corriere.it
Vorrei capire chi dovrebbe controllare e poi censurare le zozzerie di Internet…Gli stessi che consentono a Sgarbi di urlare di tutto e di più nella TV dove il “ragno” menzionato da G.A.Stella c’è?
Complimenti, non vedo l’ora.
E’ vero che su Internet ci son tanti gruppi di ignoranti, di pazzoidi, ma secondo me usano l’anonimato di Internet per sfogarsi: senza questo mezzo potrebbero dare in escandescenza per strada. Sarebbe peggio, no?
Inoltre, Internet è pieno di cose belle, le schifezze sono una minima parte di cui non si fa alcuna fatica a starne alla larga.
Ci sono dei violenti che discutono delle loro schifezze? Lasciamoglielo fare, così la Polizia potrà scovarli meglio. NO??