
Da Platone a Montaigne, da Emerson a Nietzsche, la definizione di amicizia è passata attraverso il pensiero dei grandi filosofi senza arrivare ad assumere contorni ben definiti, proprio per la complessità di vicende e di esperienze che racchiude.
Procedendo in modo deduttivo, Siegfried Kracauer analizza le relazioni fra gli uomini cominciando da quelle che, per diversi motivi, non si reggono su vincoli amichevoli: innanzitutto il legame d’amore fra un uomo e una donna, ma anche il cameratismo, il rapporto con i colleghi o quello con i conoscenti.
Queste relazioni, a patto che non si atrofizzino restando invischiate in forme intermedie, come la cosiddetta «amicizia della domenica», possono evolvere. Quando si cresce insieme condividendo gli stessi ideali, la stessa visione del mondo e dell’uomo, il rapporto si trasforma in amicizia vera, caratterizzata da quel «dialogo fecondo» in cui ciascuno esercita sull’altro una funzione maieutica, e da cui scaturisce «l’essere potenziato dei due individui uniti», in una comune tensione verso l’assoluto.
“L’amicizia affina il senso morale. Poiché questo rapporto può prosperare solo come comunione di convinzioni, di ideali, poiché rende giustizia a tutta la personalità e si estende fino ai confini delle potenzialità tipiche di quest’ultima, esso si ripercuote necessariamente sulle persone unite dal vincolo elevandole moralmente. Alla propria coscienza morale si aggiunge quella dell’amico, che ognuno porta con sé ovunque e sente in sé tanto più viva quanto più illimitata è la fiducia accordata reciprocamente. Gli amici si educano al bene che hanno ravvisato insieme, per via cognitiva o intuitiva, in momenti solenni e che ora, autonomo e franco, è per sempre presente al loro animo. Di questo punto culminante della loro comunione essi devono dimostrarsi degni, se non vogliono deludere l’altro.”