di Don DeLillo
Ediz. Einaudi – Pagg. 118 – € 18,50
New York. Un giovane aspirante cineasta chiede a un noto studioso che per anni ha fatto il consulente del Pentagono di registrare un video in cui raccontare la sua esperienza. Un video-confessione, sospetta lo studioso, che si nega, recalcitra, sfugge, ma alla fine invita il cineasta in un posto perduto nel deserto, in California, non lontano da San Diego.
Sarà per qualche giorno, si dice il giovane. Trova un biglietto economico e parte. Ma lo studioso non vorrà concedere alcuna ripresa. Desidera solo che l’altro gli stia accanto, in un posto troppo vasto, indifferente e bellissimo in cui i tramonti non siano che un essenziale cambiamento di luci e dove l’unica cosa che accade sia il tempo. Non il passare del tempo, ma il tempo come percezione essenziale di ogni singolo istante.
È una prova generale dell’amicizia. Ma come tutto ciò che è essenziale, anche questa specie di tempo è un sogno troppo superbo per l’essere umano che esiste proprio perché dimentica il tempo. Qualcuno, qualcosa verrà da fuori, da news e traffico, sport e meteo, a riportare i due in città. A riportarli nel mondo dei compromessi, delle responsabilità individuali, dei precari affetti. Il punto omega è stato immaginato dalla fisica più metafisica. Suoi attributi sono che è sempre esistito, è personale e unisce il creato in forme sempre più complesse, è trascendente, è libero da limitazioni di spazio e di tempo, e deve offrire la possibilità di essere raggiunto.
Letto da: Francesco
Opinione: Ho iniziato a leggere Punto Omega a luglio e ne ho proseguito la lettura per quasi tutto il mese di agosto. Mese che, come sempre, dedico alla lettura di vecchi romanzi, generalmente ormai non più editi, che scelgo tra i tanti lasciati da mio padre nelle librerie della casa al mare e che mi permettono di unire al piacere della lettura la possibilità di toccare e annusare carta ed edizioni confezionate prima che nascessi e su cui il tempo lascia l’affascinante segno del suo scorrere.
Questo agosto ho letto (e annusato): L’onda dell’incrociatore (nelle prima bellissima collana Gli Struzzi di Einaudi, 1961) e I giochi di Norma (tra i primi Coralli di Einaudi, 1964) dell’istriano Pier Antonio Quarantotti Gambini; Materada (nella fascinosa collana Le Meduse di Mondadori, 1961) di Fulvio Tomizza, istriano anch’egli; e lo scandaloso, per l’epoca, Tutti compromessi (Feltrinelli, 1961) di Uberto Paolo Quintavalle. Libri intensi e toccanti, ma al tempo spesso piacevoli e molto scorrevoli, decisamente accattivanti nella forma narrativa.
Ciò mi ha permesso di poter dedicare giusto tempo anche al Punto Omega di Don DeLillo. Perché è un romanzo che, pur se breve, impegna davvero molto e richiede il bisogno di tornare continuamente sulle sue pagine, leggendo e rileggendo.
Molto scarno ed essenziale, quasi rarefatto, nel suo stile narrativo che incanta e appaga esteticamente, Punto Omega è una riflessione filosofica e quasi poemica che parte da una condizione di inquietudine e insoddisfazione.
Ma, anche, che da questo punto di principio (il Punto Omega?) pone interrogativi e spunti di pensiero che, se afferrati al volo nel loro rapido e nascosto rivelarsi (magari non alla prima temporale lettura, ma in una delle tante da concedere a queste pagine), diventano risposte di lieve poesia o di pesante certezza, spiragli di arte e di coscienza; salvo poi riperdersi nel dubbio.
Umberto Eco, nei miei anni degli studi, mi ha insegnato che ogni opera d’arte è un punto aperto verso l¹interpretazione da parte di chi ne fruisce. Questo, per me è la forza del Punto Omega di DeLillo: una lettura che, in qualsiasi modo la si recepisca, ci cambia profondamente.
Perché non può lasciare indifferenti.