
April Latimer, giovane medico di buona famiglia e dubbia reputazione, sembra svanita nel nulla: gli amici non la sentono da giorni, al lavoro la credono malata, nulla nel suo appartamento lascia presagire una partenza programmata. Nell’indifferenza generale, solo la sua amica Phoebe, figlia dell’anatomopatologo Quirke, sembra porsi delle domande, sorretta nella sua ostinazione da un brutto presentimento che le circostanze non fanno che incoraggiare.
Troppe, infatti, le resistenze inaspettate, le zone d’ombra, l’imbarazzo contro cui si scontrano i suoi cauti tentativi di saperne di più.
Forse April non è quella che ha fatto credere di essere, né c’è da fidarsi della sua fin troppo rispettabile famiglia; anche all’interno del loro gruppo all’apparenza compatto – scopre Phoebe – c’erano segreti, intese, rivalità ben più profonde di quanto lei abbia mai sospettato.
L’unico su cui contare è Quirke, reduce da un soggiorno in una clinica di riabilitazione per alcolisti e intenzionato a fare il padre come si deve, ma ancora vulnerabile alle più umane delle tentazioni: un’auto sportiva che non sa guidare, un whisky di troppo di tanto in tanto, per scaldarsi cuore e ossa, e, forse, un nuovo amore.
Così, tra colpi di scena e rivelazioni dolorose, padre e figlia si sperimentano con timidezza in un inedito gioco di squadra – per una volta alleati, se non proprio famiglia – e si avviano insieme alla scoperta dell’impietosa verità.
C’era un tempo invernale infame e April Latimer era scomparsa.
Da giorni era calata la nebbia di febbraio e non dava segno di diradarsi. Nel silenzio ovattato la città pareva sconcertata, come un uomo cui si abbassi di colpo la vista. Le persone si facevano strada incerte brancolando nell’oscurità come invalide, tenendosi vicine alle facciate delle case e alle cancellate, e fermandosi esitanti agli incroci per tastare guardinghe dove finisse il marciapiede. Automobili con i fari accesi comparivano all’improvviso come insetti giganti, esalando scie lattiginose di fumo di scarico dai tubi di scappamento. Il giornale della sera elencava la dose quotidiana di disgrazie…”