di Gianfranco Calligarich
Ediz. Fazi – Pagg. 239 – € 18,00
Trama: Un giocatore d’azzardo stanco e disilluso trascorre le sue giornate invernali in un casinò, su una costa fuori stagione. I battiti irregolari del suo cuore malato accompagnano i ricordi, scombinano le tracce della memoria, mentre la sua voce smagata rievoca, a molti anni di distanza, una storia di amore e tormenti che si è incisa nella sua sensibilità di testimone privilegiato.
La storia è quella di un esponente d’una grande dinastia industriale e di una bellissima ereditiera in fuga da un inconfessabile segreto familiare, entrambi membri di quella colonia raffinata e cosmopolita che sul finire degli anni Sessanta aveva trovato a Roma, in un quartiere abbracciato da un’ansa del Tevere, un ultimo, cadente rifugio.
Fatalmente attratti l’uno dall’altra, i due scivolano presto in un matrimonio da cui non possono ricavare la salvezza e la pace desiderate, procedendo a tentoni come fantasmi di un sentimento estinto, tradendosi, perdendosi, inseguendosi tra le infinite notti e i caffè di una Roma fluviale e indimenticabile, tra capitali europee sovraeccitate, in un gioco estenuante e crudele, fino all’imprevedibile epilogo che, sulle sponde notturne di un lago, metterà a nudo il segreto di due vite affamate d’amore ma incapaci di sconfiggere i propri demoni.
Letto da: Francesco
Opinione personale: Quasi immediatamente dopo averne visto la segnalazione postata da Pao qui
sul blog, ho acquistato e poi letto questo romanzo. Avevo capito subito già dalla presentazione di bandella, infatti, che sarebbe stato un libro per me. Infatti. L’ho trovato davvero splendido, senza minimamente abusare di questo termine.
Una storia che ruota attorno alla sconfitta e alla malinconia proprie solo ai grandi, intensi, immediati amori passionali e privi di ogni sorta di mediazione.
Eppure, al tempo stesso, sconfitta e malinconia sono qui raccontate, da Gianfranco Calligarich, con tale ricchezza poetica da infondere alle stesse una piacevolissima leggerezza.
Così la lettura scorre lieve e attraente, appassionando fin da subito il lettore alla storia, all’ambientazione e, soprattutto, ai personaggi e alle loro profonde, private vicissitudini. Quei privati abissi qui portati a galla rispettandone tutta l’intimità, senza la minima perversione da guardone e/o da pettegolo.
Colpisce, tanto da rendere impossibile il non innamorarsene, la poetica e mai abusata descrizione di una Roma ormai persa, dislocata attorno a piazza Navona in quel rione Parione abbracciato, come scrive Calligarich, per due terzi dal capriccioso tortuoso scorrere del Tevere: una Roma semplice, lieve, disincantata, forse persino ingenua nell’essere ancora genuinamente provinciale.
E quasi provinciale sembra lo scorrere della vita, attorno ai caffé e i locali della piazza e dei vicoli, delle persone dotate di ciò-che-conta (per usare ancora le efficaci espressioni di Calligarich) o diseredate: vita semplice senza distrazioni nevrotiche, quindi ancora attratta dalle passioni e dai sentimenti, capace di indagare, con apparente disincanto, quei tormentati privati abissi in cui cercare energia vitale. Anche se dispensatrice di morte o della stessa testimone.
Ciò che più di tutto, comunque, rende sublime questo romanzo è il come vicende e attori, passioni e uomini sono raccontati. Con una scrittura davvero sublime: riccamente poetica eppur lieve, ironica e al tempo stesso emotiva, disincantata ma attenta. Soprattutto: mai pesante; nonostante impegni il lettore, non stanca mai.
Anzi: proprio nel piacere di leggere fine a sé si trova la prima valida motivazione per aprire questo romanzo.
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