Inesorabili, i grandi investitori delle economie emergenti proseguono la caccia all’oro verde, come già descritto in vari articoli da Ilfattoalimentare.it. Le ultime novità arrivano da Nigeria e Sierra Leone, i cui instabili governi hanno appena invitato a nozze gli operatori stranieri – sudafricani in particolare – che abbiano interesse ad accaparrarsi le loro terre.
Circa un migliaio di imprese del Sudafrica già investono in progetti di coltivazioni in altri Paesi del continente, a partire dalla Repubblica Democratica del Congo, Mozambico, Congo-Brazzaville. Per ragioni non certo umanitarie, piuttosto per lo sfruttamento di ampie distese di fertili terre e manodopera a costo zero.
Ed è appunto al Sudafrica che Robert Orya – chief executive della Nigeria Export Import Bank – rivolge l’invito a subentrare alle popolazioni locali nello sfruttamento di 79 milioni di ettari di terra arabile, con generosi inventivi fiscali. Impegnandosi a garantire il rimpatrio dei profitti senza ostacoli legislativi. Allo stato attuale il 70% dei 152 milioni di cittadini affida alla terra la propria sussistenza, e ciò nonostante la Nigeria importi ogni anno derrate agricole e alimentari per un valore complessivo di circa 4 miliardi di dollari US.
Quanto alla Sierra Leone, 5,4 milioni di ettari di terreni si prestano alla coltivazione di riso, palma da olio, canna da zucchero e cacao. Dopo 11 anni di guerra civile terminata nel 2002, si sono tenute nell’agosto 2007 le prime elezioni pubbliche su scala nazionale. E la nuova amministrazione guidata dal presidente Ernest Bai Koroma ha ora indicato l’agricoltura come settore-chiave per guidare la ricostruzione economica del Paese.
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