In origine, i controlli sui mezzi pesanti erano pochi.
Ormai è una verità storica e possiamo finalmente dire che non era solo per la loro complessità (peraltro molto minore rispetto a oggi) e per la mancanza di uomini: era una specie di inefficienza organizzata, perché l’autotrasporto era la spina dorsale dell’economia italiana e bisognava lasciar fare.
Poi ci si è accorti che si stavano infilando gli stranieri (imprese e autisti) e si è stretto un po’. Ulteriore stretta con le norme europee. Ma la vigilanza è rimasta sostanzialmente affidata alla sola Polizia stradale, che ha fior di specialisti e spesso opera con quelli della Motorizzazione, ma può coprire (a stento) solo la grande viabilità: su tutto il resto della rete viaria italiana, festa!
Ma ora qualcosa sta cambiando e i risultati si vedono.
In certe zone d’Italia, come l’Emilia-Romagna e la Toscana (dove non a caso operano comandanti che studiano molto e scrivono manuali di conseguenza), da un paio d’anni sono scese in campo anche le polizie locali.
Una sorpresa per gli autotrasportatori che operano solo in zone ristrette o che scelgono strade secondarie proprio per non incappare in controlli. Così, come vedete nel comunicato (clicca qui per leggerlo) gentilmente segnalatomi dal collega Giorgio Costa, può capitare che sia fuori legge un autista fermato su due.
Qualcuno la può vedere col solito cinismo: ora che le sanzioni sono tante e alte, ingolosiscono i Comuni. Può essere, in più di un caso.
Ma non in quello dell’unione dei Comuni di Reno Galliera, di cui leggete nel comunicato. Perché si prendono la briga di segnalare infrazioni e incidenti anche alle altre autorità cui spetta vigilare sul rispetto delle regole sul lavoro e la salute degli autisti.
Una vera rogna per le polizie locali, che a volte (con la complicità o su pressione della politica) omettono persino le più semplici segnalazioni obbligatorie, come quelle alla Motorizzazione per la decurtazione dei punti.
O, peggio, usano la mancata decurtazione per spillare altri soldi ai trasgressori, come è tornato a denunciare su Auto (numero di febbraio), nella sua rubrica “Nel mirino” il collega Enrico De Vita, padre nobile di una generazione di giornalisti d’inchiesta nel nostro settore.