Fonte: Francesco Guglieri
Il mio libro del 2015 è un libro svedese del 2004. Il suo autore vive su un isolotto dell’arcipelago di Stoccolma, e per me già questo basterebbe a farne l’uscita dell’anno. Si intitola L’arte di collezionare mosche e l’ha pubblicato Iperborea pochi mesi fa (traduzione di Fulvio Ferrari).
Mi sono accorto che i libri che mi piace leggere, da qualche tempo, hanno due caratteristiche: a) sono difficili da riassumere e b) li leggi con la matita in mano.
Quello che mi interessa è un certo passo della scrittura, un’andatura, lo sguardo di chi cammina e si guarda intorno: pensa ai fatti suoi e a quello vede nel mondo.
Dopodiché prova a costruirci un ponte, tra il dentro e il fuori. A volte il movimento può essere anche solo intellettuale – ci si muove attraverso altri libri, altri testi – ma quello che importa è come tutto questo poi si traduce in una certa musica.
Tra i libri di quest’anno, in quello di Sjöberg ho trovato la musica più simile a quella che amo ascoltare e, ogni tanto, suonare.
È un libro pieno ironia, malinconia, divagazioni, sull’arte di limitarsi; sul collezionismo come tentativo di dare un ordine al caos; sul viaggio e la nostalgia di casa; sulle isole e la loro seduzione; sulle ossessioni e sui fallimenti; sull’amore e le mosche; ma soprattutto sul non prendersi troppo sul serio.
È un libro bello e magistrale: nel senso che insegna proprio delle cose, a cominciare dal come vivere un po’ meglio – o almeno provarci.
E poi ci sono frasi così: «Ogni tanto decidevo di affrontare la cosa dei viaggi. Perché ero un globetrotter fallito? Perché non facevo che provare nostalgia di casa? Ma andava sempre a finire che me ne restavo lì come avvolto in uno sciame di pensieri brevi, quasi puntiformi, incolori, senza apparente connessione. Come se una potenza superiore mi avesse riempito la testa di coriandoli» e ho pensato che anche a me a volte sembra di avere la testa piena di coriandoli.