Fonte: Davide Piacenza
C’è chi pranza velocemente, sacrificando la convivialità all’agenda del giorno, e chi si prende pause più lunghe, fatte di conversazioni rilassate e bicchieri riempiti senza fretta. Quanto a Orson Welles, lui non faceva né l’una né l’altra cosa: era Orson Welles, nient’altro.
A pranzo con Orson è il risultato di tre anni di pasti serviti allo stesso tavolo del fastoso ristorante Ma Maison, West Hollywood. Il grande cineasta è un anziano squattrinato, ormai pressoché distrutto dal suo temperamento istrionico, dalle sue idee sempre dolorosamente rivoluzionarie, dai suoi amori e da una vita coinvolgente, forse troppo.
Leggendo i resoconti delle confessioni accuratamente registrate dal devoto fanboy Henry Jaglom, il genio Orson sembra un Barney Panofsky della cinematografia; un uomo a disagio per la sua forma fisica, malato, sostanzialmente solo con i suoi rimpianti e il suo delizioso, intelligentissimo rancore.
E l’unico in grado di dire di Woody Allen davanti a un contorno: «Detesto gli uomini fatti in quel modo. Quella combinazione unica di arroganza e insicurezza mi dà l’orticaria. È arrogante all’ennesima potenza, come tutti gli insicuri».