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Il tempo che ti piace buttare, non è buttato. (J. Lennon)

Mio padre è andato a raggiungere mia mamma…

L’ho imparato nel 1995 ed il 1998 lo ha confermato: scrivere (ti) aiuta.

Scrivere avendo se stessi come unico lettore, sino a quando avrai il “coraggio” di condividere con gli altri, amici o estranei che siano, il che significa esporsi, mettersi a nudo.

Rischiare di essere giudicati, cosa che mi importa poco, visto che chi ti giudica non sa una cippa della tua vita.

E, talvolta, essere uno stimolo per far si che altri capiscano di non essere i soli a vivere nel dolore.

Sono un tipo riservato, ma in determinate occasione scrivere e condividere è un toccasana, sia a livello psicologico che emotivo.

Ecco, questo è uno di quei casi.

13 luglio: mi chiama mio padre e mi dice, con voce sofferente, che sta male. Io abito a 30 km. da casa sua, per cui chiamo subito la vicina che ha le chiavi, le chiedo di andare a vedere e poi chiamare il 118, se è il caso.

Mentre sto per uscire dall’autostrada, mi telefona e mi passa il capo equipaggio dell’ambulanza che mi chiede alcune cose e mi dice che lo porteranno subito via.

Entro a piedi nel PS proprio mentre entra la lettiga con mio padre, lo saluto, mi fa un cenno, è debole, ma sembra tranquillo.

Meno di 1 ora dopo mi chiama una dottoressa che con parole scelte con cura (grazie) mi informa che è andato in arresto cardiaco mentre si organizzavano per fargli gli esami del caso.

E quindi, dopo la mamma, scomparsa in piena pandemia in quelle 48 ore che ti cambiano la vita … ecco che ho perso pure mio padre.

Anche in questo caso è stata una cosa inaspettata, vero che aveva quasi 92 anni, ma non aveva nessuna patologia in corso e quindi tranne gli acciacchi dell’età, stava bene. E’ rimasto di sasso il medico di base, così come le farmaciste che lo avevano visto il giorno prima, lucido e pimpante (il giusto).

Dopo poco più di tre anni mi sono ritrovato a fare le telefonate o messaggi di rito, di fatto ho seminato tristezza e dolore fra tutti quelli che ho chiamato.

16 luglio: Mio padre non era credente, per cui niente passaggio in Chiesa e quindi per l’ultimo saluto ci siamo riuniti al forno crematorio di Lambrate; c’erano due cugine da parte di mia mamma, un amico mio e figlio di un suo amico, una persona (e moglie) conosciuta in ambito bancario 40 anni fa e diventata amica di famiglia, due ex operai in lacrime, perchè (essendo stranieri) dicevano che “abbiamo vissuto più con la vostra famiglia che con la nostra”.

Ieri ha chiamato dal Pakistan l’altro fratello che ha lavorato da noi sino al 2000, prima di rientrare a casa ed anche lui ad un certo punto si è messo a piangere e non riusciva a parlare.

Detto per inciso, mio padre conservava (dal 2007) nel portafoglio la lettera scritta a mano dove il dipendente più anziano ringraziava la famiglia che lo ha accolto quando nel 1970 ha suonato alla porta con solo i vestiti che indossava, dopo essere stato derubato di tutto.

Ed ha lavorato in un’azienda che ha visto il timone in mano a tre generazioni, senza che la correttezza venisse mai meno.

Torniamo a noi.

Neanche a farlo apposta, il 18 luglio era il compleanno dell’Amica Marina, fino a pochi mesi fa direttrice dell’unico ristorante che hanno frequentato i miei genitori, per oltre 20 anni, fino alla pandemia.

La scorsa settimana mio padre le aveva telefonato per farle gli auguri ed io gli ho detto che poteva aspettare il giorno giusto, al che mi ha detto: poi magari non ci sono piu’.

“Esagerato, camperai fino a 100 anni. Non hai niente, nessuna patologia, solo disturbi legati all’eta’

Ed invece no…

Poi c’era la vicina di casa, di qualche anno più giovane di me che ha vissuto da sempre al piano di sotto, la consulente della nostra banca, l’inquilina di uno dei suoi appartamenti che di fatto è diventata un’amica di famiglia ed infine il badante che lo ha assistito dal quando è mancata la mamma.

Visto che (se ci credi) è andato a raggiungere la mamma, scomparsa ad inizi 2021, ho deciso di far togliere dalla lapide la foto di mamma, mettendone una di pochi anni fa dove sono insieme, mano nella mano.

Ritengo rispecchi al meglio il loro legame.

Ed infatti mi scrive l’ex ristoratrice esaurita ed Amica, Marina: Non potevi fare meglio! L’immagine che ho di loro è proprio questa: escono dall’ascensore insieme, appaiati, mai uno davanti e l’altra dietro. Sempre attaccati, tutti e due con il sorriso!

Che bei ricordi… persone meravigliose che mi sono rimaste nel cuore e che ricorderò per sempre perché ho voluto loro molto bene ( e loro ne volevano a me). 🙏

Perchè scrivere questo e quello?

Perchè per quasi 3 anni e mezzo, da quando e’ mancata la mamma, alle 19.15 chiamavo mio padre per sapere come stava, talvolta ci si sbrigava in due minuti, altre volte entrava in modalita’ chiacchierone.

Di colpo, ti ritrovi a non chiamare piu’.

Prima o poi doveva succedere, non si e’ mai pronti neanche se c’e’ una patologia che metta le mani avanti, figuriamoci se e’ inaspettato.

Ho passato un paio di notti insonni con le solite domande senza risposta, ma sono sereno, tuttavia, non so, non capisco bene il mio stato d’animo.

Poi ho realizzato, forse, quello che mi girava in testa.

Io e mio padre non siamo mai andati d’accordo dai miei 14 anni in poi; le ragioni sono molteplici, ma non importa più, in ogni caso anche se a me non l’hai mai detto, nè in ambito personale o lavorativo, terze persone mi hanno detto che mi stimava.

Questi ultimi anni ci hanno avvicinato, pur senza colmare il divario che si era creato in tanti decenni, ma resta il fatto che sono figlio unico, come i miei genitori e quindi sono l’ultimo rimasto. Senza mio padre, per quanto riguarda i legami di sangue, sono rimasto solo.

Poi, fortunatamente non sono realmente solo, c’è la mia amata moglie Erre, l’amato peloso Martin ed uno zoccolo duro di Amici/che che mi vogliono bene e non tanto per dire.

Non sono uno che ama granchè il telefono, anzi, lo detesto. In genere parlo poco con molti e molto con pochi, ma al telefono quel “pochi” diventa pochissimi.

Prima quando andavo a letto la sera, spesso il telefono lo lasciavo in salotto o addirittura lo spegnevo, ma da quando è scomparsa la mamma (e contestualmente Erre era all’ospedale con il Covid), l’ho sempre tenuto con me, giorno e notte, metti mai che ci fosse un’emergenza da affrontare.

Quindi per oltre 3 anni non ho mai fatto un passo senza avere il telefono con me.

E’ passata una settimana da quando mio padre è mancato, da subito sono riuscito ad abituarmi a non sentirlo nella telefonata appena sveglio per dirmi che andava tutto bene oppure alla mia telefonata delle 19.15 eppure quando poco fa Martin mi ha chiamato per farsi portare in giardino e gli ho detto: un attimo che prendo il telefono.

Ma che lo prendo a fare? Se anche lo lascio in salotto, se proprio dovesse suonare, risponderebbe Erre…

Diversamente da quanto è successo nel 2021, credo di avere intrapreso il giusto percorso per l’elaborazione del lutto, che però è arrivato improvviso dopo quasi un anno di lavoro intenso, gestito ovviamente da solo, proprio nel momento in cui ero pronto a tirare il fiato … ed invece no.

E quindi, mi sento esaurito, scarico sia a livello fisico sia emotivo.

Come successe nel 1995, nel 1998, nel 2021, mi ripiglierò, ma ci vorrà tempo…

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Questa voce è stata pubblicata il 22 luglio 2024 da in Lo spazio dei ricordi, Pensieri, parole, idee ed opinioni.