Chi mi legge abitualmente sa che cosa sia successo nel mese di febbraio in famiglia, ma ai nuovi lettori suggerisco la lettura di: Quelle 48 ore che ti cambiano la vita …
Mi piace pensare che gli #egoistisenzacervello leggano integralmente il post a capiscano finalmente che continuare ad assembrarsi, senza protezioni e lamentandosi di tutto, non è la strada migliore per uscire da questa pandemia. La mia è un’utopia, lo so…
In questi mesi tutti noi abbiamo sentito il bollettino giornaliero relativo ai morti, agli intubati nelle terapie intensive ed alle persone ricoverate nei reparti Covid, ma queste ultime spesso sono delle figure non meglio precisate. Io stesso, come capirete leggendo, non avevo ben chiaro cosa stesse capitando a Rok e scoprirlo è stato un trauma.
Per me.
Figuratevi per lei, giorno dopo giorno…
Ci sono persone ricoverate che dopo pochi giorni tornano a casa, ma ce ne sono molte altre per i quali inizia un calvario di sofferenza fisica, ma non solo.
Con il racconto che segue io e Rok vorremmo dare voce a chi non ce l’ha, nel vero senso della parola, e far capire a chi sta bene, a casa, che l’uso della mascherina ed un cambiamento delle abitudini è veramente niente rispetto a quanto può succedere.
Il post è stato ispirato dai pensieri sparsi di Rok in merito al suo ricovero di 30 giorni all’ospedale per Covid e quindi con una polmonite bilaterale profonda.
Non appena rientrata a casa, la felicità ha azzerato i ricordi, ma con il passare delle settimane sta riaffiorando il tutto; dapprima ha ricordato solo i momenti belli ovvero quegli ultimi giorni in cui aveva capita di avercela fatta.
Leggi anche: Dimettere una paziente Covid senza farle il tampone è una buona idea?
Ora però sta uscendo anche il resto, partendo dalla febbre che si presentava giorno dopo giorno, resistendo inzialmente ai farmaci, sino al momento in cui dalla maschera dell’ossigeno si è arrivati al casco, tenuto per giorni, dapprima, poi tolto e sostituito dai cosiddetti naselli, per poi ritornare al casco, indossato giorno e notte.
Il casco le ha salvato la vita e lei si è messa d’impegno sopportando il dolore fisico, la paura e l’ansia perenne che ancora oggi le condiziona le giornate, unitamente al “fiatone” se si muove troppo velocemente.
Cercando in rete ha trovato la testimonianza di un’infermiera che racconta al meglio cosa voglia dire essere ricoverati per Covid e dover indossare il casco e, così come è nell’intento di Rok con questo post, si rivolge:
A quelli che rompono i coglioni dicendo che “si sentono lesi nella propria libertà personale” …voglio raccontare invece parte del calvario che vivono alcuni dei nostri pazienti, così… magari si rendono conto di quanta libertà invece possono godere, rimanendo a casa.
Segue un ampio estratto dell’articolo linkato qua sopra, del quale in ogni caso raccomando la lettura integrale, così, tanto per capire che gli obblighi e limitazioni cui dobbiamo sottostare (a casa nostra) sono sicuramente poca cosa, rispetto a quanto passano i ricoverati per Covid.
Scrive l’infermiera: I pazienti che arrivano in un contesto d’emergenza non hanno scelta, o meglio…possono scegliere di morire, oppure di fidarsi e farsi curare. Spesso sono in stato di incoscienza o di agitazione psicomotoria per l’età o semplicemente per la mancanza di ossigeno.
Il passaggio che segue racconta al meglio il sentire di Rok quando è stata ricoverata, perchè mi diceva proprio di questo spaesamento, sia per l’ansia del ricovero, sia perchè si sa che non si vedranno i familiari:
Ma anche i soggetti che arrivano coscienti e tranquilli, non sanno quasi mai cosa gli sta per capitare finché non si trovano a viverlo.
L’ansia del ricovero, dell’incertezza, ma in concreto che cosa significa indossare il casco?
….gli viene infilato in testa un casco di plastica, che si chiude sul collo con una comodità tale da ricordare un incrocio mal riuscito tra la gogna e una gorgiera in stile Enrico VIII. E viene fissato con due cinghie che passano sotto le ascelle talmente strette che dopo qualche giorno le braccia si gonfiano come zampogne perché il ritorno venoso è parzialmente compromesso.
Il casco CPAP, che da una sensazione di claustrofobia persino a me che non devo indossarlo, viene attaccato a una macchina che spara dai 35 ai 60 litri di ossigeno al minuto, con una pressione tale che pure se non volessi, i tuoi polmoni si riempirebbero lo stesso come un palloncino a una festa di compleanno (che poi questo significhi che il paziente torni a respirare bene è tutto da vedere).
La pressione è tale che se sono portatori di occhiali devi toglierglieli, condannandoli a non vedere più bene. Praticamente la sensazione è la stessa che avreste cacciando fuori la testa dal finestrino aperto di una macchina che viaggia in autostrada ai 110 all’ora. Con lo stesso rumore, circa. Giorno e notte. Se sono fortunati restano col casco qualche ora/giorno.
A quanto sopra bisogna aggiungere che i pazienti per facilitare l’ossigenazione devono cercare di restare proni sul letto e con l’ingombro del casco, non è facile ed in ogni caso rende quasi impossibile dormire. Dico “quasi” perchè nei primi giorni di ricovero Rok si è fatta portare* dei tappi di cera che in minima parte le hanno facilitato il riposo. Ma comunque dormire è altra cosa…
(* I pazienti non possono vedere nessuno, ma grazie al telefono riescono a restare in contatto con la famiglia, talvolta con telefonate – se stanno meglio – e quindi Rok riusciva a farsi portare dalla preziosa nipote Federica i beni di prima necessità e, su consiglio del dottore, piccole cose da mangiare che gratificassero Rok. Nel suo caso i cioccolatini della Lindt. 😉 )
Come dicevo prima, dopo una prima fase, Rok è rimasta con il casco per una decina di giorni senza poterlo mai togliere e come racconta l’infermiera:
….Se invece col casco hanno dei buoni scambi gassosi restano col casco e tutto ciò che esso comporta finché non migliorano al punto da passare ad altri metodi meno invasivi per somministrargli ossigeno. Con questo rombo nelle orecchie continuo, giorno e notte. A decidere se tenere il casco o toglierlo non sono i pazienti, ma i medici, sulla base dei parametri che si leggono con un esame francamente doloroso, l’EGA, che gli infermieri devono fare bucando le arterie delle braccia (quando va bene) o delle cosce, ovvero la femorale.
Devo essere sincero, in quelle settimane, travolto dall’ansia per il ricovero di Rok, dalla perdita di mia mamma e da tutti gli altri avvenimenti correlati, non mi ero mai soffermato su quanto stesse realmente vivendo Rok, non lo sapevo, facevo riferimento alle mie 2 polmoniti passate, curate però a casa.
Poi un giorno Rok mi ha raccontato di quell’esame doloroso e del suo braccio che praticamente era nero dai lividi causati dai continui prelievi arteriosi ed è riuscita ad inviarmi una foto che mi ha sconvolto, letteralmente, perchè in quel momento, vedendo quella foto, ho capito meglio che cosa stesse realmente vivendo.
Rok nella fase peggiore del suo ricovero ha perso quasi 10 chili ed una ragione c’è ed ancora una volta vengono in aiuto le parole dell’infermiera:
.….i “pasti”, quando respirano davvero male, consistono in 100 gr. di polpa di mela grattugiata, se va bene, altrimenti nulla, digiuno. E non per un pasto…ma anche qualche giorno filato. Se invece i livelli di ossigeno sono in miglioramento il pasto consiste in una “dieta leggera”, ovvero in brodaglie dai colori ambigui e verdura lessa….
Ah…ovviamente col casco non si può bere. Si beve solo quando l’infermiere entra nella stanza e, avendo una saturazione che lo permette, apre per qualche minuto il casco in cui si concede di bere qualche goccio d’acqua e si bagnano gli occhi (perché con tutto quell’ossigeno gli occhi si seccano e cominciano a bruciare…) mentre con un occhio l’infermiere guarda il monitor come un falco osserva una lepre da cacciare. A volte gli si secca la lingua e le labbra tanto da creparsi, eppure anche se fa male, quello è l’ultimo dei pensieri.
Avete letto, difficilmente riuscirete ad immaginare veramente cosa voglia dire soffrire e vivere nell’ansia di non farcela, ma forse avrete capito che restare chiusi in casa la sera o nel fine settimana, indossando la mascherina in ufficio o sui mezzi pubblici, non è la cosa peggiore che possa capitarvi.
Non le pubblicherò, sono scatti privati e tali devono restare, ma sarebbe sufficiente vedere la differenza nell’espressione negli occhi di Rok tra quando aveva la maschera, i naselli ed il casco, per capire tutto ed essere colpiti dalla forza di questa espressione smarrita e … lasciamo perdere, che mi commuovo ….
A quanto già detto aggiungo le emozioni violente, negative, che si provano quando la vicina di letto va in arresto cardiaco e scattano tutte le manovre del caso da parte di infermieri e medici e, no, dannazione, non ce la fanno a salvarla e questa donna, con la quale ti scambiavi sguardi e parole, muore (male) davanti a te, viene infilata in un sacco nero e sai bene che nessuno dei suoi cari la rivedrà più.
Muore da sola che è persino peggio che morire. E parlo a ragion veduta, pensando a mia mamma che il giorno prima ha rifiutato il ricovero in ospedale ed è spirata a casa, tra le braccia di mio padre, il che è quello che voleva.
E tu sei lì che ti aggrappi alla vita, alla speranza e temi di fare la stessa fine e di non rivedere più tuo marito, la tua famiglia…
Il passaggio che segue è dannatamente vero, dato che Rok mi raccontava di molti che non sopportavano il casco e talvolta invocavano la morte piuttosto che vivere così…….
….ovviamente i pazienti possono rifiutare il casco CPAP (se sono lucidi e orientati)…ma l’alternativa è la morte e quindi preferiscono passare questa pena infernale perché hanno […] affetti che, se muoiono, non rivedranno mai più.
A questo proposito fa testo quanto detto da Rok: “se non mi fossi attaccata al pensiero di tornare da te, forse mi sarei lasciata andare, come tanti ….(che poi infatti sono morti)”
A quanto sopra, non bastasse, aggiungo la sofferenza psicologica di chi resta a casa, che non può vedere il familiare, la moglie, per settimane, talvolta mesi e si aggrappa alla telefonata giornaliera del medico (dico giornaliera perchè nel fine settimana non ti chiama nessuno e 2 giorni senza notizie, sono un tormento), confidando sul fatto che quel “non si preoccupi, sua moglie è collaborativa e risponde alle cure” corrisponda alla realtà dei fatti.
Sarà ottimista? Sarà sincero? Oppure non vuole farmi preoccupare? Ad un certo punto, quando tua moglie peggiora, cominci a farti tante domande e non trovi nessuna risposta.
Finchè è rimasta all’ospedale ho creduto (forse ho voluto credere) ciecamente alle parole dei dottori, ma quando è rientrata a casa e, piano piano, ha cominciato a raccontare quello che le tornava alla mente, angosciandola, ho realizzato che avrebbe anche potuto non tornare.
Nel mio inconscio, probabilmente, non ho mai voluto prendere in considerazione questa ipotesi, già distrutto dalla perdita della mamma, ma ora che Rok è accanto a me questo pensiero è arrivato e non va via.
Siamo fortunati entrambi, nonostante tutto, anche se ci vorrà molto tempo perchè a Rok passino l’ansia, la tachicardia ed il fiatone. Ci saranno esami e visite, per valutare eventuali danni polmonari (incrociamo le dita).
Ma i danni del Covid sono anche psicologici, non solo per il personale sanitario ed i parenti delle vittime, ma anche per chi è stato ospedalizzato e per chi è rimasto a casa in attesa. Ed infatti io devo prendere degli ansiolitici per riuscire a dormire in pace e Rok per gestire il senso di ansia che la afferra nel tardo pomeriggio.
Quindi chi ci è passato non minimizzi e non si vergogni a chiedere aiuto, come spiegano negli articoli linkati in calce.
Qualche articolo a supporto:
Le persone guarite dal Covid-19, i loro contatti stretti e i loro familiari meritano un’attenzione particolare, in quanto possono essere a rischio di sviluppare distress psicologico ….. continua la lettura QUI
Ansia, depressione e disturbi post-traumatici da stress, ecco cosa si porta dietro l’emergenza-virus, come stanno appurando i servizi di psicologia clinica delle Ausl della regione Emilia-Romagna…. continua la lettura QUI
per i molti che ne sono stati colpiti, il COVID-19 ha rappresentato una vera e propria sfida non solo sul piano fisico, ma anche psicologico. … continua la lettura QUI
Tutti gli specialisti concordano sulla necessità di non trascurare i sintomi e di predisporre delle forme di assistenza diffusa anche per questo tipo di disturbi. […] Tuttavia quasi tutte le iniziative di sostegno psicologico in Italia sono fornite da privati e quindi non tutti riescono ad accedervi. …. continua la lettura QUI
Il trauma più complesso da gestire, si tratta del cosiddetto disturbo post traumatico da stress che compare dopo eventi molto gravi […] in cui purtroppo, rientra anche l’epidemia da COVID-19. continua la lettura QUI
Nota a margine – Segnalo un articolo dove parlano degli effetti del Covid a lungo termine, effetti che Rok sta vivendo a la mandano in agitazione; questo passaggio nello specifico riassume al meglio gran parte dei sintomi che Rok deve sopportare ogni giorno:
“A distanza di tempo possono persistere percezioni tipo nausea, sapori strani, odori sgradevoli, probabilmente legati alla persistenza del virus nei rami nervosi periferici del trigemino. In genere dovrebbero estinguersi dopo sei mesi senza bisogno di terapie specifiche.”
I commenti sono chiusi.
Condivido e mi immergo con ansie nel tuo racconto e nelle tue considerazioni, fatte per altro con giudizio consapevole e critico. Malgrado tutto c’e’ ancora gente tanto ignorante sull’argomento..
Ho letto tutto.
E queste cose non le sapevo, tutti i giorni da oltre 1 anno le nostre televisioni sono invase da virologi, medici vari, specialisti vari ma nessuno ha mai spiegato cosa succede davvero e dovrebbero sapere tutti, in primis quelli a cui ti rivolgi e a tutti quelli che negano l’esistenza del virus.
Hai vissuto un incubo ed ancora di più tua moglie
Ogni tanto pensavo che fossero pagine di un libro, di un romanzo
Ho letto ora il dramma che avete vissuto e conseguenze, capisco che non potrà mai essere come prima, vi auguro che col tempo possiate trovare la serenità…
Mamma mia, grazie per questo racconto. Andrebbe letto da tutti i cretini che si lamentano di tutto. Anzi… più che letto andrebbe vissuto.
E’ da giorni che non riesco a decidere: non fare ad altri quello che non vorrei fosse fatto a me, e quindi rimanere in silenzio.
O fare agli altri quello che gli altri fanno a me.
.
IPB
Questo post doveva essere scritto, per far capire la realtà dei fatti., ma dal punto di vista emotivo, a livello personale, non è stato un affare. Ogni volta che guardo Rok mi viene in mente quello che ha passato, che ho raccontato solo in parte, e mi si stringe il cuore.
Buongiorno Paolo,
ho appena finito di leggere. Mi viene d’istinto di rileggerlo per rendermi conto che non si tratti di un film di fantascienza ….
Ciò che descrivi è veramente paragonabile ad una tortura, e in tutti i sensi.
Grazie per la condivisione e tanti auguri a Rok e a te.
Santo cielo! E’ terribile.
Il tempo, forse il tempo sanerà le ferite. In questi casi occorre stringere i denti e resistere al dolore del ricordo. Giorno dopo giorno, quando l’ansia sale pensiamo che col tempo qualcosa cambierà ….
Questo è quanto mi sento di consigliare, per il resto tutti noi “fortunati” possiamo solo ascoltare e smettere di lamentarci perchè in realtà va tutto bene.
Un caro saluto ad entrambi