L’ultimo campanile del paese d’acqua è la ciminiera della centrale termoelettrica. Il solo elemento verticale in un panorama piatto e al tempo stesso mutevole, dove canali e lagune si alternano a banchi di sabbia ed argini. «Per noi è davvero un simbolo. Rappresenta essenzialmente il pane che portiamo a casa, la nostra sopravvivenza quotidiana».
Il sindacalista Maurizio Ferro ci mette un lirismo che addolcisce l’inedito scontro che sta andando in scena qui dove la terra finisce, nel cuore del delta del Po. E’ il rappresentante dei lavoratori della centrale Enel di Porto Tolle, che negli ultimi tempi si è bellicosamente ribattezzato Comitato d’azione. Tra cassa integrazione e mobilità, da queste parti hanno perso il lavoro in 2.800, stime della Cgil. In tutto sono poco meno di 200 operai, altri 500 soci appartengono alle aziende che campano con l’indotto.
«I superstiti di Fort Apache» dice Ferro, che scherza, ma neppure troppo. Gli indiani che assaltano il forte, nella visione sua e degli altri operai, sono gli ambientalisti, gente abituata a recitare il ruolo dei buoni. Tribù che invece qui sono considerate ostili. Si chiamano Legambiente, Greenpeace, qualche Comune vicino, come Adria, Goro, Mesola, Monticelli.
Tutti contrari alla riconversione a carbone pulito della Centrale Enel, approvata giovedì dal governo. Una volta a regime, l’impianto finirà per coprire il 4% del fabbisogno energetico nazionale. Nelle 63 pagine del documento finale sono contenute però anche 41 prescrizioni, segno che esiste qualche perplessità sul progetto iniziale. La decisione presa a Roma ha ovviamente provocato reazioni opposte. Entusiasta Ferro, che intravede il salvataggio dei posti di lavoro dei suoi colleghi e intanto sogna il rilancio dell’economia del Polesine.
«Nel momento di maggiore crisi di questo territorio», dice, «l’apertura del cantiere sarà una boccata di ossigeno, per Porto Tolle e tutti gli altri paesi».
Il leader dei comitati ambientalisti Giorgio Crepaldi ha toni sintetici da affissione funebre. «Il ragionamento è semplice. Il carbone pulito non esiste, lo dice Carlo Rubbia, mica solo io. Via mare, verrà fatto entrare nel delta, e con le sue scorie stravolgerà un ecosistema delicatissimo». Ogni anno Greenpeace manda i suoi scalatori all’assalto della ciminiera, per issare nel punto più alto lo striscione «no al carbone». A terra, sulle inferriate dei cancelli all’ingresso, ci sono striscioni a sfondo rosso dal contenuto opposto.
La centrale Enel si trova nel mezzo del Parco naturale del Delta del Po, tutelato dall’Unesco. Le associazioni ambientaliste sono convinte che il passaggio dall’olio combustibile al carbone finirà per aumentare le emissioni di anidride carbonica in atmosfera, l’Enel sostiene che invece le ridurrà del 18%. A metà strada tra due posizioni inconciliabili c’è la Procura, che nel marzo 2008 ha aperto un’inchiesta per capire davvero quale sarà l’impatto ambientale. «Siamo una terra di alluvionati, e molti di noi hanno mantenuto quella mentalità». L’avvocato Luigi Migliorini è un personaggio estroso e influente.
Si definisce «liberale convinto» per marcare la differenza da ambientalisti e no global. Ex presidente dell’Ente Parco, si dedica con fervore ad una dichiarata opera di lobbysmo all’incontrario presso i Comuni interessati, contro la centrale invece che a favore. Sostiene che solo Porto Tolle sia a favore, mentre gli altri paesi stanno preparando il ricorso al Tar, ovviamente curato da lui. «Tutto quello che altrove viene scartato o visto con diffidenza — dice — da noi viene accettato con la speranza di essere ricompensati con un pugno di Euro, o qualche posto di lavoro in più». Porto Tolle è davvero un mondo a parte. La definizione tecnica di «Comune sparso» è per una volta aderente alla realtà. Il paese non ha un centro riconosciuto. Le sue attuali undici frazioni sono disseminate sulla riva del più grande tra i sette rami del Po che si gettano nell’Adriatico.
L’ambientalista Crepaldi vive e lavora a Polesine Camerini, 400 metri in linea d’aria dalla centrale. Certi giorni, dice, vediamo le gocce oleose che si depositano sui campi coltivati, deturpandoli. Nel 2002 ha fondato il Comitato cittadini liberi. Racconta queste cose seduto al tavolo di un barcone adibito a bar, che ha scelto di non avere finestre rivolte alla centrale. «I lavoratori ci accusano di estremismo. Noi non ce l’abbiamo con loro, ma con gli amministratori di Porto Tolle, passati e presenti, molti dei quali erano dipendenti Enel. La loro costante opera di sottovalutazione sta portando al disastro questo territorio».
Maurizio Ferro invece è di Scardovari e lavora all’Enel da 33 anni. Adesso, parole sue, ricopre di il ruolo di centravanti, nel senso che i sindacati lo hanno messo a capo del Comitato dei lavoratori e tocca a lui occuparsi del contrattacco. «Ci hanno preso di mira, ma noi replichiamo con fatti e documentazioni concrete. Alla salute ci teniamo anche noi, sia chiaro.
Il carbone porterà almeno 3000 posti di lavoro per il cantiere, e ne lascerà 700 per la manutenzione. Trainerà l’economia. E’ giusto vedere la situazione anche sotto questo aspetto». Nel suo studio di Adria rodigina, Migliorini spiega le regole della contesa che agita queste terre dominate da una natura unica. «Siamo in pochi, ci conosciamo tutti da una vita. Sia lavoratori che ambientalisti se la prendono con chi sta sopra, governo, Enel, Legambiente. Tra noi, gente del Delta, non c’è acrimonia ». Suona il telefono. E’ il «nemico » Ferro, che racconta delle ultime novità, a lui favorevoli. L’avvocato lo interrompe con voce sornione. «Maurizio, ma sei sicuro di quel che fai? Se passa il carbone, ti tocca lavorare per davvero».
Marco Imarisio – http://www.corriere.it
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