Fosse una guerra sarebbero campi minati. Quarantacinque, oppure cento, o magari cinquecento metri di raggio, sono zone off-limits: vietato varcarne i confini, vietatissimo attraversarle, peggio ancora frequentarle. Le «mine»? Sono le ordinanze piazzate dai giudici che in numero crescente, e da un capo all’altro della penisola, si stanno occupando di casi di stalking. Una delle possibilità previste dalla legge del 23 febbraio scorso è ordinare allo (o alla) stalker di tenersi a una certa distanza dalla sua presunta vittima. Se non lo fa rischia l’arresto e comunque il suo comportamento diventa un aggravante.
(Nota di Pao: Forse se scatta l’ordine restrittivo, la vittima non è presunta…; poi dipenderà anche dal tipo di aggressività del molestatore/trice. Se la minaccia è fisica, reale, anche 500 metri sono pochi.)
Ora: siccome non esiste una distanza ideale per tutte le vittime, si va a discrezione del giudice e si seguono le indicazioni della (o del) perseguitato di turno. Con l’effetto- babele: una selva di distanze che più variabili non si può. Lui è un suo vicino di casa e l’aspetta per importunarla sotto il portone? Si può ordinargli di tenersi lontano anche soltanto da quell’ingresso. Lei lo infastidisce fra la palestra e l’ufficio dello stesso quartiere? Il giudice può intimarle di non avvicinarsi a quell’isolato. Oppure può stabilire semplicemente che fra chi perseguita e chi è perseguitato non ci sia mai meno di un certo numero di metri. La domanda è: come misurare con tanta precisione le distanze? E semmai ci fosse una violazione polizia e carabinieri devono presentarsi con il metro alla mano? Prendi il caso della provincia di Savona. Due commercianti un tempo fidanzati si lasciano ma lui non si rassegna all’addio e la tempesta di telefonate, la segue, tenta continue riconciliazioni che mettono in ansia lei finché si convince a denunciare tutto. La questione finisce in procura e nei giorni scorsi il pm presenta la sua richiesta al giudice delle indagini preliminari: che l’uomo stia lontano dalla donna di almeno 45 metri, non uno di meno.
(Nota di Pao: D’altro canto ad un vicino di casa mica puoi imporre una distanza di 500 metri… )
A Treviso, invece, martedì scorso un giudice ha ordinato a un ragazzo di 29 anni di tenersi a 500 metri dalla collega che lo accusa di averla tormentata per mesi dopo un’avance respinta. Anche qui: sms continui, apprezzamenti volgari, chiamate insistenti e frasi che suonavano come minacce. Il copione è simile anche per il caso di Pontedera (Pisa). Marito e moglie che si lasciano, lui che comincia ad assillarla, che arriva a maltrattarla e a perseguitarla. Settimana scorsa il verdetto del gip: l’uomo non oltrepassi mai il limite dei 100 metri di distacco dalla ex consorte. Sono 200 i metri anti-stalker fissati dal magistrato a Mercogliano, vicino ad Avellino. Dopo più di un anno una donna ha raccontato ai carabinieri dell’uomo che le aveva reso la vita impossibile e il giudice ha applicato il divieto.
Centinaia di chilometri più a nord, a Cuneo, il tribunale ha precorso troppo i tempi. Ha deciso per uno stalker 300 metri di distanza di sicurezza dalla casa e dall’ufficio della ex moglie ma la legge non era ancora passata e alla fine l’uomo è stato processato sì, ma non per il reato di stalking. «Ognuno ha la propria vita, le proprie distanze» sintetizza la deputata Giulia Bongiorno, da sempre grande sostenitrice della legge sullo stalking. «È per questo che quando abbiamo pensato alla misura del divieto di avvicinamento abbiamo scelto di tener conto delle singole situazioni. Ogni caso è diverso dall’altro. È giusto che la legge possa plasmarsi a esigenze diverse. E poi dipende dal tipo di aggressore che hai, da dove vivi…».
Quelli di questi giorni sono soltanto i primi casi, arrivati sulle scrivanie dei giudici dopo la prima ondata di inchieste. Finora non c’è stato un problema di misurazione di metri per un divieto non rispettato. Se ci fosse? «Voglio sperare — dice l’avvocato Bongiorno — che, come sempre, si ricorra prima di tutto al buon senso».
Giusi Fasano