Leggo su Il Salvagente
Mare incontaminato, vegetazione soffice e odorosa, gabbiani sospesi nel cielo e la sensazione di trovarsi in un luogo vietato e sfuggente. A dispetto del nome e del profilo all’orizzonte, che ricorda un volto di donna emerso dalle acque, la Gorgona è un’isola di uomini. La più settentrionale delle isole dell’arcipelago toscano (due chilometri quadrati e mezzo di superficie, distante 18 miglia dal porto di Livorno) è una colonia penitenziaria maschile dal 1869.
In media, durante l’anno, vi abitano duecento persone, per lo più legate al carcere: circa ottanta detenuti, una trentina di poliziotti, pochissimi abitanti, ereditieri di una manciata di case che in realtà appartengono al demanio statale.
Sulle motovedette della polizia penitenziaria, che fanno la spola tra la darsena vecchia di Livorno e l’isola, invece, è un quotidiano via vai di persone: c’è il veterinario della Asl che presenzia alla macellazione dei bovini, l’assistente sociale (l’unica donna), l’educatore, il ragioniere, un sindacalista. Periodicamente si aggiungono i familiari dei detenuti, piccoli gruppi di turisti che possono fermarsi solo poche ore, biologi marini, agronomi e un veterinario omeopata che su Gorgona ha scritto anche un libro.
Insomma qualche donna arriva, ma solo di passaggio, fatta eccezione per l’anziana signora Luisa che a Gorgona vive da sola, da sempre, per 365 giorni l’anno. La presenza umana qui è strettamente maschile dall’epoca medievale in cui l’isola era abitata dai monaci benedettini e cistercensi e prima di loro, a ritroso, i Romani e gli Etruschi che la chiamavano Urgon.
Gli uomini lavorano senza sosta sull’isola che a quanto pare ha una missione ora et labora nel proprio dna, trasmessa dai monaci di un tempo ai carcerati di oggi. La colonia penale a indirizzo agro-zootecnico – così è definita – mette in pratica quanto sancito nell’articolo 27 della Costituzione, che prevede il vero recupero dei carcerati e non la loro repressione.
“Per scontare la pena alla Gorgona si deve fare domanda e passare una severa selezione – spiega il direttore del carcere Carlo Alberto Mazzerbo. Proprio per la sua natura di regime aperto e autodisciplina accoglie solo detenuti con un fine pena non superiore ai 10 anni. Inoltre non si accettano tossicodipendenti e alcolizzati, stupratori, né gli appartenenti alla criminalità organizzata o chi si è macchiato di crimini verso i bambini”.
Chi rimane allora in questa “elite” carceraria? Persone che scontano la pena per omicidio, furto, spaccio, reati finanziari… Incrociando sulla stradina un detenuto dall’aspetto curato e gli occhiali da vista sorge l’interrogativo: reato finanziario?
“No, no – assicura il direttore – Quello è un odontotecnico”. Una risposta ermetica che non fa altro che aumentare la curiosità sulla storia di quel distinto signore atterrato qui. I lamenti dei gabbiani sono rotti dai rumori delle tante attività. Ci sono detenuti che ristrutturano edifici, elettricisti, meccanici, macellai, l’addetto al pollaio – un marocchino che ride indicando un gallo nato con tre gambe – il responsabile del grande orto, un anziano cinese col cappello di paglia che sarebbe perfetto in mezzo a un risaia.
Emilio Giusti, responsabile delle attività produttive della colonia, spiega che “Il carcere è quasi autosufficiente. I mille olivi producono l’olio necessario, il vino viene dalle nostre vigne, le verdure dall’orto e poi ci sono gli animali: galline, faraone, oche, capre, cavalli, asini, maiali, mucche Frisone, vitelli, per la produzione di latte, carne e formaggi”.
Ogni attività è finalizzata allo scopo didattico e produttivo. “Solo attraverso il lavoro si conosce a fondo un detenuto – è il pensiero di Mazzerbo – Imparare un lavoro per i carcerati è anche l’unico modo per avere un futuro una volta tornati in libertà”.
Il mare della Gorgona è un mare illibato. L’isola è entrata a far parte del Parco dell’Arcipelago Toscano (presieduto dal geologo e conduttore televisivo Mario Tozzi, ndr) per cui le sue acque sono interdette alla navigazione che è ammessa solo alle motovedette della polizia e alla nave Toremar (che però si ferma a debita distanza), vettore di merce, visitatori e dei pochi liberi gorgonesi.
In queste acque nel 2001 è partito un esperimento unico al mondo: un impianto di acquacultura interamente gestito dai carcerati. A pochi metri dalla costa cinque grandi reti sommerse racchiudono orate che arrivano come avannotti e vengono alimentate con mangimi biologici, di origine non animale, privi di antibiotici; fino a quando, all’età di 16 – 18 mesi sono pronte per essere pescate.
E’ un progetto unico, nato con la collaborazione del Comune di Livorno e del dipartimento di biologia marina. Le gabbie sono fatte di rete e hanno forma cilindrica, 5 metri di diametro per 8 di altezza, saldamente ancorate al fondale marino, contengono fino a 15.000 pesci ciascuna. In un anno si arrivano a pescare circa 40 tonnellate di orate: un bendiddio che finora è stato consumato all’interno del carcere o distribuito nell’ambito dell’amministrazione penitenziaria.
L’accordo con Unicoop Tirreno permette oggi a questo ottimo pesce di allevamento, ma con tutte le caratteristiche di un pescato di altura, di arrivare sui banchi di alcuni supermercati Coop dotati di pescheria delle province di Livorno e Grosseto.
Un’esclusiva che permette di valorizzare un prodotto di alto livello, arricchendolo di contenuto sociale, volto a ridare dignità e opportunità di lavoro ai carcerati. Un progetto che si affianca a quello dei vini prodotti all’interno della casa circondariale di Velletri (Roma) e presenti in Unicoop Tirreno dal 2004 con l’etichetta “Il Fuggiasco”.
Intorno alle gabbie, su una barchetta, due detenuti con le braccia tatuate spargono il mangime per le orate. L’acquacoltura a Gorgona impegna quattro uomini che hanno preso anche il brevetto di subacquei perché le reti devono essere controllate continuamente e protette dai pesci predatori (come i barracuda o la ricciola).
La visita piena di curiosità a questa isola in balìa di tutti i venti nominati nella Rosa si chiude con un passaggio davanti alla torre mozzafiato del XIII secolo, che domina a picco su Cala di Pancia, e al piccolo cimitero, dove riposa anche un ex carcerato che nel testamento chiese di tornare a Gorgona. I saluti sono farciti da frasi al condizionale: il desiderio di vendere i prodotti all’esterno, puntare sul turismo, coltivare erbe aromatiche, impiegare i cavalli avellinesi nella raccolta differenziata dei rifiuti.
“Potremmo avere energia pulita con impianti fotovoltaici ed eolici e tornare a produrre gli avannotti qui sull’isola. Un nuovo progetto prevede anche la creazione di una nursery per le creature marine e un allevamento di pesci tropicali. Speriamo…” conclude il direttore Mazzerbo. La motovedetta aspetta sul piccolo molo, col suo carico di uomini e buona volontà. Per un’ora, fino al porto di Livorno, la nausea da mare grosso prenderà il sopravvento sullo stupore e l’emozione di aver scoperto un luogo tanto affascinante quanto struggente, dall’anima di donna e della natura maschile.
Notizie utili – Per visitare l’Isola di Gorgona – www.visitagorgona.it – Telefono: 0586-884154
Libro consigliato: “Il respiro di Gorgona” di Marco Verdone, il veterinario omeopata che si occupa degli animali presenti sull’isola. Libreria Editrice Fiorentina, pag.160, 12 euro.
Per capire andate a visitare il sito degli abitanti http://www.ilgorgon.eu, l’unico completo ed esaustivo sulla realtà gorgonese. Verdone fa solo il veterinario e di Gorgona sa poco e nulla, Sullisola ci abitano fisse anche altre famiglie, non si parla degli abitanti ma solo di un carcere. Perché non vi informate prima di scrivere.
Per amor di informazione, sarebbe perciò interessante sapere punto per punto le imprecisioni contenute nell’articolo. Poi le giriamo a chi ha redatto l’articolo…. Una critica ha valore se argomentata. O no?
mai letto tante idiozie ed imprecisioni tutte insieme