Fare chiarezza su cosa debba intendersi per corretta valorizzazione dei Beni culturali. E’ stato questo l’obiettivo della giornata di studi organizzata dal FAI al Castello di Masino, Caravino (TO) che ha visto la partecipazione di importanti esponenti di istituzioni e associazioni.
Che cosa si intende per corretta valorizzazione dei Beni culturali? È giusto prestare opere d’arte all’estero in cambio di denaro, come illustrato in modo provocatorio nel fotomontaggio di fantasia qui sopra? O si tratta di una banale mercificazione che “costa” ai nostri Beni culturali più di quanto renda? Fin dove è legittimo spingersi senza recare pregiudizio al patrimonio?
In un momento storico in cui ferve un acceso dibattito sui Beni culturali italiani “che non rendono” dal punto di vista economico, il FAI ha cercato di fare chiarezza nel corso di una giornata di studi al Castello di Masino, Caravino (TO) in occasione di un incontro dedicato ai “200 del FAI”, invitando a parlarne Roberto Cecchi, Direttore Generale per i beni architettonici e paesaggistici del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Andrea Carandini, presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali e l’On. Fabio Granata, Capo Gruppo PDL in Commissione Cultura – Camera dei Deputati e fondatore dell’Associazione Articolo 9. Scopriamo insieme i punti più importanti:
La tutela del patrimonio come limite all’azione
Il patrimonio culturale appartiene alla collettività e non può essere oggetto di banale mercificazione. Il limite della valorizzazione dei Beni culturali dunque va individuato nella garanzia della loro tutela, protezione e conservazione per fini di pubblica fruizione. Questo principio è previsto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, e regolato dal Codice di deontologia dell’ICOM (International Council of Museums), secondo il quale, solo per fare un esempio, “le collezioni dei musei sono costituite per la comunità e in nessun caso devono essere considerate un attivo finanziario”.
Come spiega Roberto Cecchi, “è questa la ragione per la quale ogni anno i prestiti in Italia e all’estero di circa 12mila opere sono gratuiti”. L’Italia non “fa cassa” con le proprie opere d’arte “non perché non siamo capaci a far pagar gabella, ma perché siamo rigorosi nel rispetto di quelle regole di carattere internazionale che abbiamo contribuito a costruire e che rispettiamo”.
Il valore del “fare sistema”
Rinunciare a “mettere la cultura sul mercato” non significa però rinunciare alla redditività del nostro patrimonio. Secondo Roberto Cecchi, è fondamentale che il Ministero per i Beni e le Attività Culturali faccia sistema con altre realtà territoriali sviluppando strategie capaci di aumentare la permanenza in città dei visitatori dei beni più famosi, come può esserlo il Colosseo, spostando così i flussi turistici sui nostri beni meno conosciuti e frequentati, ma altrettanto importanti. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario un miglioramento dei servizi offerti al pubblico sia da un punto di vista logistico sia culturale.
Raccontiamo i nostri Beni culturali
Accanto a servizi più adeguati e soddisfacenti, secondo Andrea Carandini è fondamentale dunque essere in grado di raccontare ai visitatori i nostri Beni culturali, spiegandone la storia e il valore culturale in modo chiaro e ricco di contenuti e approfondimenti. “Un tempo – spiega Carandini – i beni culturali erano goduti soprattutto dalla borghesia, istruita da scuole e università ottime, che di valorizzazione non aveva bisogno”. Oggi invece il panorama dei visitatori è interamente
mutato, comprendendo non solo strati sociali diversi ma anche persone di altri Paesi, che necessitano al contrario di informazioni precise e dettagliate. Tutto ciò senza dimenticare i bambini, sempre più presenti nei luoghi di cultura insieme ai loro genitori.