di Dan Fante
Marcos y Marcos, 2010 – Pagg. 267 – € 10,00
Bruno Dante ha quaranta anni: generoso, passionale, sfiancato da mille tentativi di far pace con un carattere orribile e combinare qualcosa di buono: il suo sogno è sfoderare la maledetta vena di scrittore, soffocata da sfighe, vigliaccherie e doveri imposti dalla vita.
Chiamato a rendere un ultimo omaggio al padre Jonathan, famoso scrittore e sceneggiatore cinematografico gravemente malato, attraversa in volo l’America con una moglie che lo disprezza. Costretto ad affrontare l’inferno degli sguardi cattivi di famiglia, si avvicina al capezzale del padre con ammirazione, scoprendo di amarlo: è l’unico, forse, a comprendere il genio del grande scrittore. Sullo sfondo, un’America kafkiana, percorsa in compagnia di Rocco malandato bull terrier del padre e di una baby prostituta con cui stabilisce un’eccezionale solidarietà.
Un padre geniale, ruvido e ingombrante: John Fante. Un figlio pieno di talento e buoni propositi, che si perde nell’alcol, nel sesso, nella depravazione: Dan Fante.
Letto da Francesco
Opinione: Chiunque ami più o meno intensamente, più o meno immensamente John Fante e la sua narrativa ruvida, intrisa di sincera immediatezza e straordinaria poesia, difficilmente potrà resistere dalla possibilità di confrontarla con quella del figlio Dan.
Confronto inevitabile, ancestrale, tutto sommato voluto e cercato. Anzi: conoscendo le vicende biografiche assai travagliate di Dan Fante si può ipotizzare che esser riuscito ad affrontare questo ingombrante confronto padre-figlio attraverso la narrativa rappresenta la chiave di svolta della vita di Dan, una sorta di terapia d’urto che lo ha salvato.
Dato, allora, per scontato il confronto con John è inevitabile notare come questa opera prima di Dan, pubblicata negli USA nel 1998 e solo ora uscita in Italia (un’altra similitudine con il padre: tempi lunghi per affermarsi e per sancire un successo poi inarrestabile; e, infatti, Marcos y Marcos ha in cantiere la pubblicazione di tutta l’opera prodotta e a venire di Dan Fante), segue gli stessi temi assai cari all’ingombrante genitore.
Vien quasi da pensare che parlar del babbo sia una specialità di casa Fante: probabile eredità proveniente dalla storia di immigrazione dall’Italia di questa famiglia di origine abruzzese. Se John ha sempre preso spunto dal padre muratore italiano, gran bevitore di vino e di solide tradizioni cui si contrappone un figlio scapestrato in cerca del successo letterario, qui leggiamo l’evoluzione di quella famiglia: il figlio dal talento incerto e sprecato si confronta con il padre grande scrittore di successo che, però, è davvero e fin in fondo compreso solo da quel figlio alcolista.
Rispetto ai toni assai poetici e quasi delicati nel proprio essere ruvidamente immediati di John, la narrativa di Dan in questo Angeli a pezzi è più cupa, disperata, struggente, quasi priva di speranza e senza via di uscita.
Definito più bukowskiano di Bukowski, questo romanzo appassiona per i ritmi veloci, pieni di azione e al tempo stesso colmi di riflessione e intimità; si fa interessante per la poetica descrizione dei personaggi davvero notevole la figura della baby prostituta Amy sviscerati con immediata ruvidezza tanto da riuscirne a cogliere umori, fisicità, odori e, soprattutto, disincantata disperazione.
A lettura ultimata si può senz’altro dire che se Fante figlio non ha superato il padre John ci si avvicina alla grande, ma ed è la cosa più interessante attraverso una sua personalità differente sebbene simile e su una strada che prende pieghe diverse sebbene inizi dallo stesso punto di partenza.