Ieri ho letto una breve intervista alla giornalista sudanese Lubna Ahmed al-Hussein, autrice del libro Quaranta frustate, nel quale racconta la sua vicenda giudiziaria e la condanna appunto a 40 frustate per il crimine commesso nel 2009: Indossare un paio di pantaloni.
L’autrice racconta nell’intervista che mentre gli agenti mi portavano in carcere, non si spiegavano come mai io non piangessi come le altre donne arrestate. io pensavo già a cosa fare per ribellarmi a quell’ingiustizia. A costo di uccidermi.
La battaglia personale l’ha vinta e la condanna è stata trasformata in una multa, ma non ha smesso di lottare.
È un giorno di luglio quando Lubna, una giovane giornalista di Karthoum, viene arrestata dalla polizia in un ristorante. Il suo crimine è aver osato portare i pantaloni, un atto che in Sudan, terra della sharia, è considerato oltraggio alla moralità pubblica e come tale va punito con quaranta frustate.
Lubna e altre quindici donne, colpevoli dello stesso reato, vengono caricate su una camionetta, picchiate, portate in prigione. Un castigo inflitto ogni anno a migliaia di donne, che subiscono in silenzio. Per vergogna. Ma Lubna non ha nessuna intenzione di tacere.
Possono anche darmi quarantamila frustate, ma io non starò zitta. Non ha paura di sfidare apertamente l’assurda legge degli uomini.
Nata in un villaggio povero e tradizionalista, orgogliosa del suo faticoso e quotidiano percorso di emancipazione, ci conduce con il suo cuore di donna nel cuore nero di uno dei paesi più integralisti e misogini di tutto il mondo arabo-musulmano, un paese in cui basta rientrare tardi dal negozio di alimentari per essere marchiata come “prostituta, e la parola di quattro uomini per venire condannata alla lapidazione.
Foto e riassunto della trama tratte da Ibs