Tredici affreschi dell’Irlanda di oggi, variazioni sul tema dell’inesorabile passare del tempo e della precarietà degli equilibri famigliari. Sullo sfondo, la crisi mondiale, la disoccupazione, l’incertezza per il futuro. Sono storie comuni, di persone comuni, nelle quali ciascuno si può rispecchiare.
Roddy Doyle racconta le piccole delusioni quotidiane, il logorio della vita condivisa, uno scenario a tratti desolante, dove però c’è ancora spazio per ridere delle proprie debolezze, per sentirsi parte di qualcosa di speciale.
C’è la storia di una coppia sposata da tempo, che sembra trovare in un cane l’ultimo motivo per stare insieme, finché anche quello non sparisce improvvisamente rimettendo tutto in discussione.
E c’è un gruppo di amici dublinesi che durante una vacanza in Spagna continua a vivere come se fosse a casa, a parlare, ubriacarsi, fino al momento di epifania nell’arena, durante una corrida…
Lo sguardo del narratore è disincantato ma compassionevole, nel comporre ritratti in cui la quotidianità e i sentimenti che appassiscono sono filtrati da quel sorriso amaro ma autentico che è forse l’unico rimedio allo smarrimento.
I suoi genitori, dopo i funerali, andavano al fish anc chips. Bill lo scoprì riaccompagnandoli a casa, appunto, dopo un funerale — era morto il marito della sorella, a sua volta morta da tempo, di sua madre. Li aveva accompagnati in macchina perché la chiesa e il cimitero erano nella profonda campagna, in una fogna di paesino che il boom economico, ormai morto sepolto, sembrava non aver nemmeno sfiorato, se non fosse stato che il prete era polacco. Suo padre non se la sentiva più di guidare sulle stradine di campagna e sua madre si era rimpicciolita. Non arrivava ai pedali.
Così sosteneva lei.”
Fonte: Il Libraio