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Bacci Pagano cerca giustizia. Cinque indagini per l’investigatore dei Carruggi

di Bruno Morchio

Ediz. Frilli – Pagg. 160 – € 14,50

Trama: Mario Canepa, un uomo di mezza età invecchiato prima del tempo, leggermente ingobbito di una magrezza rugosa e sofferta e con l’aria spaesata di chi sembra aver smarrito il bandolo della propria vita, rientra a Genova, a casa anche se una casa non ce l’ha più – dopo un lungo soggiorno in clinica a Bellinzona. Quando si presenta all’appuntamento con Bacci Pagano ha l’aria dimessa e veste con la trasandatezza che può permettersi chi da sempre appartiene alla comunità in cui vive.

Si esprime in un italiano ricco e appropriato con marcato accento genovese. È timido e cortese, ma un fatto sconcerta Bacci Pagano: Mario Canepa è un uomo di colore. Figlio adottivo dei Canepa, è stato, dopo la morte del padre, titolare della “Mario Canepa & figlio”, una ditta che importava caffè dal Corno d’Africa. “Ritrovi mio figlio dottor Pagano. Si chiama Giovanni, ha vent’anni e non vuole parlare con me. Mia figlia Rachele, sua sorella, mantiene i contatti con lui ma si rifiuta di dirmi dove lo posso trovare”.

Inizia così per Bacci un’inchiesta, forse la più velata di malinconia della sua carriera, nella quale il suo senso di giustizia, lo spinge ad andare con determinazione oltre il proprio mandato, fino a risolvere un caso ben più oscuro e complesso del solo ritrovamento del giovane. Completano il libro altre quattro brevi inchieste di Bacci Pagano: Bacci Pagano al Roger Café, Bacci Pagano sul lago, Bacci Pagano al ballo di Fontanigorda, Gli uccelli di Pechino.

Letto da: Paolo

Opinione personale: Ho apprezzato tutti i libri con Bacci Pagano, grazie anche alla capacità di Morchio di farti sentire gli odori ed i colori di Genova, facendoti vivere la città restando seduto in poltrona, cosa che succede in parte anche in questo libro. Però non si tratta di indagini nel vero senso della parola, perlomeno non come ero abituato con Bacci.

La prima storia, la più lunga, con Mario Canepa, alla lunga si rivela irritante, proprio a causa delle caratteristiche del personaggio, ma tant’è. Purtroppo il racconto termina di botto, senza una reale fine. Mi sono trovato a cercare almeno un epilogo, fosse anche di due righe che desse un senso alla storia. Invece no.

I racconti successivi sono deludenti. Bacci Pagano al Roger Cafè  tutto può essere, tranne che un indagine. Sono parole, opinioni, scambiate al bar.  Se poi vogliamo definirle un’indagine… I racconti successivi, non sono niente di che…

P.S. A questo proposito, Francè, ti farò leggere qualcosa e poi mi dirai, con l’onestà e la schiettezza che ti contraddistinguono, se non sono meglio i racconti brevi con il Commissario Pollini 😉

2 commenti su “Bacci Pagano cerca giustizia. Cinque indagini per l’investigatore dei Carruggi

  1. paoblog
    27 giugno 2011
    Avatar di paoblog

    Era meglio intitolare il libro: Quattro chiacchere con Bacci Pagano … 😉

  2. Francesco
    24 giugno 2011
    Avatar di Francesco

    Ieri ho letto il brevissimo racconto “Bacci Pagano al Roger Café” che rientra nelle cinque indagini di questo libro (forse potremmo anche scrivere «dovrebbe, nelle intenzioni dell’autore o, forse, ancor di più dell’editore rientrare nelle cinque indagini che coinvolgono l’investigatore genovese in questa raccolta»… potremmo: un po’ lunga, come frase, ma magari può essere un indizio valido…).

    Partendo proprio dalla riflessione che mi ha portato a formulare quella frase-indizio (ci sta bene, come definizione: visto che parliamo di indagini…) virgolettata di cui sopra, è doveroso far notare che questo brevissimo racconto è qui pubblicato, come si legge in una nota al titolo, «per gentile concessione de “Il Sole-24-Ore”».

    Allora: sarebbe utile conoscere in che situazione il quotidiano lo ha pubblicato. Credo che, evidentemente, si tratta di un breve racconto commissionato da un quotidiano in qualche specifica situazione, come spesso i giornali fanno, solitamente in estate.
    Situazioni tipo scrittori che raccontano la propria città, oppure ai quali viene affidato il compito di sviscerare, in forma narrativa, delle particolari situazioni sociali e sociologiche, magari a margine di dibattiti portati avanti dal quotidiano (qui, per esempio, mi viene facile pensare situazioni tipo “come cambiano le nostre città”, “integrazione razziale”, “i nuovi volti dei centri storici” eccetera eccetera).

    Poi, molto semplicemente, l’editore per dar corpo a un libro che, magari, con solo quattro racconti sarebbe stato troppo scarno, non solo nel numero di pagine, ma anche nel numero in sé (che “roba” è una raccolta di soli 4 racconti, numero pari e insignificante? Cinque, invece: ha un senso già di suo… Sembra assurdo, ma gli editori fanno simili ragionamenti di marketing da strapazzo…) ha pensato bene di accludervi questo racconto, grazie anche ai buoni rapporti tra la sua casa editrice e il gruppo “Sole-24-Ore”… Sto indagando, ovvio!
    Magari anche per “spezzare” i toni “gialli” della raccolta con una sorta di intermezzo “poco giallo”: una specie di sorbetto per pulirsi la bocca tra una portata e l’altra…

    Tale situazione trova forza anche nella impaginazione del libro. Devo ammettere che ho fatto un po’ di fatica, proprio a livello fisico-visivo, a leggere queste poche pagine composte con un corpo del carattere tipografico troppo grande in rapporto a giustezza, gabbia e dimensione globale della pagina, tanto da creare molte “vedove” a fine paragrafi (quando, ovvero, l’ultima riga di un paragrafo è composta solo da due-tre parole al massimo, per una lunghezza della riga inferiore ai due terzi della giustezza e tale da creare disarmonia visiva): simili situazioni si verificano molto meno quando la composizione tipografica è armoniosa e, comunque, sono modificabili con estrema facilità intervenendo sugli spazi, cosa impossibile da fare quando le battute di una giustezza sono troppo poche.

    Insomma: visivamente queste pagine non facilitano la lettura e già solo a colpo d’occhio non fanno bell’effetto.

    Comunque…

    … Tenendo presente che non conosco l’autore e il suo stile di scrittura, né come costruisce i suoi romanzi (ero a conoscenza solo di quanto letto dalle bandelle e dai commenti di Pao, ma non avevo conoscenza diretta), appena iniziato a leggere ho pensato che questa poteva essere una sorta di “indagine alternativa”.

    Indagine alternativa: non la classica indagine per scovare un assassino, risolvere un delitto. Ma una indagine sociologico-sociale-psicoanalitica di una città, del suo centro storico, dei suoi abitanti “vecchi” e “nuovi” delle sue abitudini che cambiano senza cambiare…
    Forse: se ora scrivo queste parole maturate dopo la lettura del racconto, tenendo presente che assai poco conosco Genova, in parte sarà così e sarà stato così…

    … Però se è così: questa indagine meritava un approfondimento. Doveroso. Perché, come sottolinea Pao, questa eventuale indagine si riduce a una semplice, scarna, finanche superficiale e un po’ qualunquista chiacchierata tra “quattro amici al bar”.

    Non basta, insomma. Morchio lancia il sasso e non ci racconta il suo cammino, dove approda, che conseguenze comporta…
    Sembra un ritratto appena abbozzato, una cosa latente che non vien fuori, non evolve.
    Potremmo addirittura dire: cose che già, in qualche misura, sapevamo. Sentite e lette dovunque: bar, giornali, dibattiti in strada e in TV…

    Più che una indagine, è un abbozzo di indagine.
    Che Morchio, magari, potrebbe sviluppare e “mettere in bella copia”.

I commenti sono chiusi.

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Questa voce è stata pubblicata il 23 giugno 2011 da in L'angolo dei libri - Le nostre segnalazioni con tag , , , , , .