Messa in tasca la vittoria del «sì» al referendum, gli italiani si trovano a fronteggiare un problema spesso trascurato.
Se infatti l’opinione pubblica ha espresso chiaramente la volontà di abrogare il nucleare “attivo”, fermando la produzione di questa energia, ben poco può dire su quello “passivo”, che riguarda lo smaltimento delle scorie prodotte negli anni precedenti dai reattori made in Italy, peraltro mai pienamente entrati in funzione.
Lo sfruttamento del nucleare, in Italia, ha avuto luogo tra il 1963 e il 1990. Le quattro centrali – Latina, vicino a Roma, Sessa Aurunca, in provincia di Caserta, Trino, nel vercellese e Caorso, nel piacentino – sono state chiuse per raggiunti limiti d’età o in seguito al referendum del 1987. Questi impianti, gestiti dalla Sogin, società statale nata nel 1999 dall’Enel, sono in fase di smantellamento.
Secondo i dati contenuti nella delibera dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, gli oneri conseguenti allo smantellamento delle centrali elettronucleari dismesse risultano pari, nel 2007, a circa 200 milioni di euro, e si compongono in massima parte delle spese sostenute dalla Sogin….
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