di Oliver Harris
Ediz. Feltrinelli – Pagg. 398 – € 19,00
Trama: Sei del mattino, Londra. Nick Belsey, detective della polizia che ha toccato il fondo, si risveglia ferito e dolorante su una montagnola di terra nel parco di Hampstead Heath, ubriaco, senza portafoglio, senza telefonino e senza alcun ricordo degli eventi della notte che, da soli, giustificherebbero un licenziamento in tronco. Belsey torna a fatica in ufficio e si aggrappa alla sua ultima occasione, il caso dell’apparente suicidio dell’oligarca russo Alexei Devereux.
L’occasione è troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Belsey non resiste all’idea di appropriarsi dell’identità dell’uomo d’affari russo (e dei suoi soldi) e di riciclarsi lontano da Londra, libero e ricco. Indagando su Devereux, Belsey si rende conto però che il suo progetto truffaldino è niente in confronto a quanto scopre sulla vita dell’oligarca.
La sfida è buia come il lungo corridoio del commissariato che Belsey percorre per raggiungere il suo ufficio, ogni mattina in condizioni sempre peggiori. La sfida inconfessata di Belsey è un gioco di specchi dove il bene e il male sono facce della stessa medaglia. Belsey, antieroe per eccellenza, è il protagonista assoluto del racconto. Si sente l’odore d’alcol uscire dal suo alito quando esce ciondolando da un locale dopo l’ennesima giornata combattuta. Si sente l’odore dell’adrenalina mista a sudore quando tenta disperatamente di mettersi in salvo. Insomma, si sente tutta la sua profondissima umanità. L’altro grande protagonista è la città di Londra.
Letto da: Paolo
Opinione personale: Fermo restando che l’opinione è personale, come detto, non è mia intenzione dare una valenza negativa alle mie osservazioni, perchè ritengo che L’impostore sia un buon libro, con una storia sicuramente anticonvenzionale, rispetto al solito, tuttavia non trovo che sia un giallo mozzafiato, come ho letto, bensì di una vicenda nella quale si alternano momenti un pò piatti con sviluppi di alta tensione, generata non tanto dall’azione, ma dalla percezione della tensione che il protagonista per primo sta vivendo e che viene trasmessa al lettore.
Non trovo che Belsey sia un antieroe ma un cinico opportunista, e tantomeno che sia geniale come scritto sulla copertina del libro; se così fosse gli avvenimenti lo avrebbero visto più protagonista e non burattino. Non posso dire di più senza svelare la vera sorpresa del libro che in parte avevo intuito o, meglio, sospettato.
Ho letto che sono stati opzionati i diritti del libro da una casa cinematrografica; se ben girato, e con un attore credibile nei panni di Belsey, potrebbe uscirne un ottimo film; i presupposti ci sono tutti. Sconsiglio la lettura a chi si aspetta un libro alla Jason Bourne, per intenderci, con alta tensione generata da tanta azione; siamo in un mondo opposto, tutto il libro ha come protagonista Belsey.
La copertina merita un plauso a prescindere. L’immagine, frutto dell’eleborazione di una foto di Marcus Davies, ha catturato immediatamente la mia attenzione non appena l’ho vista e, terminato il libro, ritengo che sia perfetta, come sembrava.
Nota per Francesco: L’autore, in un’intervista, alla domanda Lei sa cose della finanza e racconta della City come se ci avesse lavorato anni… ecco cosa risponde: No, ho solo fatto ricerche…
Capisci bene che mi riferisco all’autore che sai 😉 … Non possiamo sapere e conoscere tutto, per cui se vuoi scrivere di un argomento, ti documenti, al fine di rispettare il lettore che acquista il tuo libro e si aspetta, in cambio di soldi veri, una storia credibile o, perlomeno, attendibile.
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Immagine di copertina effettivamente molto bella, intrigante, dinamica, comunicativa, efficace.
Volendo essere pignoli: per un migliore equilibrio degli spazi e per una maggiore efficacia di comunicazione a colpo d’occhio, sarebbe stato meglio posizionare tutto il blocco del lettering, così com’è composto, qualche millimetro più in alto (all’incirca, direi, un centimetro e mezzo).