un articolo di Dario Dongo & Arnaldo Santi che leggo su Il Fatto Alimentare, sicuramente interessante e meno male che qualcuno ne parla, ma purtroppo rappresenta una storia vecchia anche al di fuori del settore alimentare.
Il vero problema è che i Governo fa leggi senza poi fare nulla perchè siano applicate e rispettate, il resto dell’Europa (tranne alcuni) viaggia ad una velocità superiore alla nostra, i produttori sono strangolati e faticano ogni giorno di più, ed i consumatori non ne sanno nulla.
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Ilfattoalimentare ha già dedicato idue articoli al “decreto liberalizzazioni”, che definisce i termini inderogabili di pagamento dei prodotti agricoli e alimentari (30, 60 giorni) e vieta una serie di pratiche commerciali manifestamente scorrette che la GDO è solita imporre ai fornitori. Uno studente dello IULM di Milano, ha voluto condividere un capitolo della sua tesi di laurea dedicato a queste pratiche commerciali.
Riportiamo alcuni esempi concreti di pratiche commerciali inique ( in allegato c’è una raccolta di lettere e di contratti originali “particolarmente critici).
Al fornitore viene richiesto di pagare un contributo affinché il suo prodotto sia inserito a scaffale. In molti casi risulta che i “listing fee” siano pretesi ogni anno per gaantire la presenza del prodotto sugli scaffali, a prescindere da impegni di acquisto o fatturato. Si tratta di vere e proprie barriere all’accesso al mercato, il cui costo è variabile tra gli 800 e i 1.500 € per ogni prodotto per ciascun punto vendita.
Facendo un pò di calcoli diciamo che il sogno di ogni impresa di essere presente nell’intera rete della distribuzione moderna (22.000 punti vendita), richiederebbe un investimento variabile da 17 a 33 milioni di euro (dati de “Il Sole 24 Ore”) .
È prassi comune dei supermercati pretendere sconti retroattivi (o “premi”) di fine periodo, indipendentemente dal raggiungimento di obiettivi di fatturato o di volumi di vendita. Questo sconto, richiesto a fine anno dalla Catena/Centrale di acquisto, incide in misura anche significativa sulla redditività dell’impresa fornitrice.
Prima ancora dell’entrata in vigore del decreto liberalizzazioni, il d.lgs. 231/2002 fissava in 60 giorni dalla consegna il termine massimo di pagamento degli alimenti deperibili. Nessuna autorità però vigilava sul rispetto di questo termine (come è invece previsto faccia l’Antitrust, all’art. 62 del D.L. 24.1.12 n. 1).
In assenza di controlli alcuni catene di supermercati pretendono uno sconto non solo per pagare le merci nei termini pattuiti, ma anche per rispettare i termini di legge.
Un esempio per tutti, nel mese di luglio 2009 il gruppo Carrefour Italia “per affrontare la crisi dei consumi che sta colpendo molte famiglie italiane ha deciso di premiare la fedeltà dei propri clienti con sconti sulla spesa applicati a tutti i possessori di Carta Spesamica. Questa attività verrà effettuata nel mese di agosto 2009.
Il gruppo Carrefour, al fine di remunerare questa iniziativa promozionale decisa unilateralmente ha quindi richiesto un contributo straordinario – a tutti i fornitori delle merceologie fresche quali Ortofrutta, Carne, Pesce, Salumi e Formaggi, Gastronomia e Panetteria – ovvero uno sconto pari al 20% sul consegnato di una settimana.”
È il classico esempio di sconto retroattivo imposto unilateralmente dalla catena di distribuzione per remunerare una propria iniziativa commerciale.
In occasione dell’apertura di nuovi punti di vendita, del loro ampliamento o del rinnovo dei locali, la GDO chiede ai fornitori la remunerazione di presunte attività di co-marketing sui prodotti.
Di fatto al fornitore viene richiesto di contribuire agli investimenti fatti dal supermercato, a prescindere dalle effettive ricadute positive sulle vendite dei suoi prodotti.
Alcune catene della GDO inviano ai propri fornitori lettere di contestazione tardiva dicendo che a causa di “prodotti forniti non idonei alla vendita”, è stata trattenuta a titolo di “penale” una parte delle somme dovute per le forniture.
Spesso senza indicare quali sono i prodotti “non idonei alla vendita” (referenza, data e luogo di consegna, numero di lotto), né i motivi. I prodotti non vengono resi e non viene data possibilità di verificare gli addebiti.
Ai fornitori sono richiesti ulteriori sconti in ragione di soluzioni tecniche che la catena di supermercati adotta per rendere più efficiente la gestione amministrativa dei documenti di vendita.
In un periodo dove il costo del lavoro è una voce di bilancio importante, alcuni distributori trasferiscono agli uffici amministrativi dei fornitori l’onere di calcolare gli ‘sconti’ e i ‘premi’ da detrarre dalle somme dovute. Nonostante i fornitori paghino i cosiddetti “servizi di centrale” (che dovrebbero appunto comprendere la gestione e il coordinamento centrale di fatture e sconti).
A quanto pare i fornitori agro-alimentari in Italia sono costretti ad accettare un’ampia varietà di ‘sconti’ che la GDO si arroga e ‘porta in compensazione’ con le somme dovute per le merci ricevute. A ciò si aggiungono i ritardi di pagamento, che costringono i fornitori a ulteriori esposizioni debitorie con le banche. Il concetto di ‘fair trade’ pare assai lontano da questa realtà.
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Qualche articolo correlato dove racconto la mia esperienza diretta, perchè la vita vera non è quella che vivono i nostri legislatori.
L’importante è pagare il più tardi possibile…
La prevaricazione (e stupidità) delle grandi aziende
Ops, non ti ho pagato? Pensavo di si. (Si,come no…)
Si può dire “no grazie” alla Marcegaglia? Si può, si può…
Piuttosto che pagare puntuale, pago prima.
Si lavora meglio con gli stranieri
A parole siamo bravi tutti
Arrivano due insoluti e la classe non è acqua
Il significato della parola anticipato?
30 giorni di pagamento non sono nulla
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