in sintesi un interessante articolo di Valentina Murelli che leggo su Il Fatto Alimentare (clicca sul link per la lettura integrale)
La grande distribuzione si è adattata ed ha sostituito le vecchie buste di plastica per la spesa con i nuovi shopper biodegradabili e compostabili che possono anche essere usati per la raccolta differenziata dell’umido.
Nel reparto ortofrutta, però, la rivoluzione non c’è stata e i sacchetti sono ancora tutti di plastica, per quanto molto sottile e generalmente riciclata.
Nello stesso reparto, si continuano a usare guanti in plastica monouso per prelevare frutta e verdura. La prassi viene giustificata come necessaria dal punto di vista igienico, ma in realtà non c’è alcun obbligo normativo nazionale in proposito, tanto che nei mercati rionali i guanti non si usano, come del resto in altri paesi europei.
Ma perché non utilizzare anche per frutta e verdura mini shopper biodegradabili e compostabili? O addirittura abbandonare l’usa e getta, passando a piccole sporte riutilizzabili?
In effetti qualcuno lo fa. Da anni i supermercati del gruppo EcorNaturaSì propongono anche al reparto ortofrutta buste di carta e shopper in Mater-Bi o in Biocartene, derivati rispettivamente dall’amido di mais e dall’amido di patata.
Coop ha avviato in alcuni punti vendita una sperimentazione con sacchetti ortofrutta in materiale compostabile affiancati a quelli tradizionali. L’obiettivo è valutare l’atteggiamento del consumatore di fronte al nuovo shopper.
In base a quanto hanno raccontato a Il Fatto Alimentare catene come Esselunga, Auchan e Crai, gli ostacoli principali all’adozione delle buste compostabili anche per frutta e verdura sono tre.
Il testa alla classifica troviamo il prezzo. I sacchetti biodegradabili possono costare fino a 4 volte in più di quelli in plastica: una spesa elevata, considerando gli ingenti volumi.
In un momento di crisi come quello che stiamo vivendo è molto difficile pensare di far pagare ai consumatori i sacchetti per mele o insalata, e così la spesa rischia di risultare eccessiva anche per i supermercati.
La seconda preoccupazione degli operatori della grande distribuzione riguarda la resistenza e la tenuta dei materiali ecologici. In effetti ne abbiamo tutti esperienza: gli shopper bio della spesa tendono a rompersi più facilmente di quelli in plastica.
E infine c’è il tema ambientale. Qualcuno sostiene che se tutti i supermercati adottassero sacchetti compostabili anche per l’ortofrutta, si creerebbe un problema di approvvigionamento delle materie prime
Tutte obiezioni alle quali replica Andrea Di Stefano, responsabile progetti speciali di Novamont, azienda leader nei biodegradabili.
«Il prezzo è una questione ineludibile: questi materiali continueranno a lungo a costare di più. La cifra più elevata dei sacchetti biodegradabili non comporta però costi ambientali correlati all’utilizzo delle buste tradizionali».
Il sacchetto bio è più caro, ma non comporta spese indirette per lo smaltimento e poi bisogna considerare il carico ambientale che il cittadino paga sotto altre voci di spesa. Smaltire la plastica attraverso gli impianti di incenerimento comporta alla collettività un costo molto elevato, che tutti paghiamo. Viceversa, compostare contenitori biodegradabili abbatte notevolmente queste voci di spesa.
Sulla tenuta dei sacchetti bio, le esperienze di NaturaSì e Cuorebio parlano da sole, anche se in genere la quantità di frutta e verdura che si acquista in questi punti vendita è limitata.
«La resistenza non dipende tanto dal materiale di base – precisa Di Stefano – quanto dal modo in cui viene trasformato e dallo spessore. Se è ben trasformato e ha uno spessore minimo il bio è in grado di garantire risultati paragonabili a quelli della plastica. Per quanto riguarda l’approvvigionamento non ci sono problemi. In ogni caso ci stiamo orientando verso l’utilizzo di scarti agricoli per ottenere questi materiali».
Alla fine il prezzo sembra l’unica barriera in grado di ostacolare l’ingresso delle buste di amido di mais o di patata nel settore ortofrutta dei supermercati. Forse però la grande distribuzione dovrebbe fare qualche tentativo, anche se la soluzione davvero ottimale resta il ricorso a borsine riutilizzabili.
Negli anni scorsi, nell’ambito della campagna “Mettila in rete” di Porta la sporta, in alcuni punti vendita Simply, Leclerc Conad, Iper e Maxi Tigre sono state temporaneamente proposte ai clienti delle retine di cotone lavabili per mettere frutta e verdura.
Queste iniziative sperimentali hanno avuto un discreto successo, però bisogna anche considerare alcune difficoltà logistiche importanti come il calcolo della tara delle bilance quando si pesa frutta e verdura.
Quelle normalmente presenti nei reparti ortofrutta sono tarate per i sacchetti di plastica, che hanno un peso irrisorio, mentre una retina pesa circa 18-22 grammi. Bisognerebbe avere bilance dedicate, oppure tornare alla presenza di un operatore nel reparto.
E poi diciamo la verità: il riuso presuppone una coscienza ambientalista molto radicata nei consumatori e non è ancora così.
«Eppure proprio su questo fronte la grande distribuzione potrebbe fare molto, non limitandosi a cambiare materiali, ma aiutando i clienti a cambiare abitudini» afferma Silvia Ricci, responsabile campagne per l’Associazione comuni virtuosi.
Un esempio? «Pensare a punti premio per chi sceglie shopper riutilizzabili per frutta e verdura».
In attesa delle nuove iniziative, i singoli consumatori dovrebbero stare più attenti per ridurre lo spreco di contenitori.
«A volte basta davvero poco – suggerisce Edoardo Freddi, direttore marketing di EcorNaturaSì – per certi frutti come i meloni o le banane non è necessario utilizzare un sacchetto, di qualunque materiale esso sia: basta apporre l’etichetta direttamente sul frutto».