Fibre che melangiano i tessuti delle cappe, «il diaccio rilucere del prezioso mohair, la confortante brillantezza del cashmere, la secca e austera eleganza del pelo di cammello».
Le epoche sono fatte di tessuti, righe, filettature e bottonature. Edoardo Nesi ha scelto di raccontare un decennio per un motivo preciso: fra il 1970 e il 1979 il Pil italiano salì del 40 per cento. Così – lasciato Ivo Barrocciai in un locale di Parigi alla fine del romanzo L’età dell’oro – lo ritroviamo nel libro L’estate infinita, dov’è cominciata la sua parabola di imprenditore tessile.
È il racconto dell’azzardo, della sventatezza, del sogno di un’Italia dove c’era posto per tutti. L’estate infinita è soprattutto il racconto di un’abbondanza che sosteneva un sogno collettivo: il sole brilla per tutto il libro e quando non brilla il cielo è comunque colmo, se va male sono gonfie le nuvole, e se il sole va via di notte i cieli sono strapieni di stelle.
Ivo Barrocciai fa costruire una fabbrica faraonica con piscina. Le Alfette si aggirano su strade sterrate. Ci si innamora perdutamente. Si respira odore di soldi e odore di lavoro.
«Non è mai successo che i figli stiano peggio dei loro padri e delle loro madri», dice qualcuno. Altro che romanzo storico, l’Italia frenetica e felice sembra pura ucronia.
Fonte: Francesco Longo