un articolo di Riccardo Meggiato che leggo su Wired
Nel 2007, il boss di Michael Fiola, un investigatore in forze al governo del Massachusset, nota che il suo dipendente scarica, via internet, più del quadruplo dei dati dei suoi colleghi.
Così ordina un controllo, scoprendo che nel notebook c’è un’impressionante quantità di foto pedopornografiche. Fiola viene immediatamente licenziato e a nulla valgono le sue proteste in merito alla totale estraneità ai fatti.
Qualche sospetto sulla possibile innocenza di Fiola, in effetti, viene nel momento in cui lui e la moglie arrivano a investire tutti i risparmi, e a vendere la loro auto, in cause legali. Insomma, dei colpevoli non sarebbero arrivati a spendere 250mila dollari in avvocati…
La difesa basa la sua strategia sul fatto che il computer di Fiola pullula di virus e malware di vario tipo, e dunque è probabile che questi abbiano scaricato, a insaputa dell’ormai ex investigatore, i dati compromettenti.
La conferma a questa prima evidenza arriva analizzando nel dettaglio la cronologia delle visite ai siti web pedopornografici, fonti del materiale illegale: una media di 40 siti visitati al minuto, inconcepibile per un essere umano, ma assolutamente alla portata di un programma automatico.
Così, dopo i 250mila dollari in spese legali, e danni morali per lui e la moglie, Fiola riesce finalmente a dimostrare la propria innocenza. Ma soprattutto, getta un’ombra su quella che alcuni investigatori informatici definiscono come la sindrome del “cane che ha mangiato i compiti”.
Molti criminali digitali, infatti, tendono a discolparsi tirando in ballo programmi malware che hanno agito a loro insaputa. Scuse che, nella maggior parte dei casi, non vengono nemmeno prese in considerazione.
Il caso di Fiola dimostra ed evidenzia una preoccupante tendenza nel campo della pedopornografia online: questi criminali stanno sviluppando tecniche sopraffine per scampare ai controlli della Legge.
In questo caso, per esempio, Fiola si è imbattuto in un malware col quale il pedofilo di turno ha sfruttato il disco fisso dell’investigatore per stipare il suo materiale illecito, attingendone quando necessario.
Insomma, una tecnica hacker vera e propria, declinata a scopi tutt’altro che etici. Con l’aggravante che stava per farne le spese un perfetto innocente.
I malware si diffondono con estrema facilità. Il consiglio è quello di installare nel computer un antivirus e un firewall di qualità, aggiornandoli spesso, ed evitare di scaricare programmi da siti ed e-mail di dubbia natura e provenienza.
La Legge italiana prevede che il semplice possesso di materiale pornografico coinvolgente minori costituisce un reato, e dunque un’eventuale discolpa rischia di arrivare solo in un secondo tempo.
Meglio accertarsi prima della sicurezza del proprio computer piuttosto che rischiare di incorrere in una vicenda assurda come quella capitata Fiola.
Fonte: www.wired.it