In questi giorni Andrew Cuomo, governatore di New York, dovrà affrontare una decisione cruciale: autorizzare o meno il “fracking“.
Si tratta di una tecnica di estrazione del gas di scisto che sfrutta la pressione di liquidi (acqua, sabbia e sostanze chimiche) per provocare fratture negli strati rocciosi più profondi, favorendo così il rilascio del gas. Il processo non è esente da rischi per l’ambiente, al punto da aver generato una forte mobilitazione dell’ambientalismo statunitense.
In questo clima di contrapposizione, un nuovo studio della Stanford University mostra come sia possibile adottare una strada alternativa: convertire le infrastrutture energetiche di New York in impianti a fonti rinnovabili.
Vento, acqua e sole potrebbero assicurare un approvvigionamento energetico sostenibile, in grado di creare nuovi posti di lavoro e di abbattere i costi pubblici legati all’inquinamento.
Attualmente quasi tutta l’energia di New York proviene da importazioni di petrolio, carbone e gas, ma secondo quanto formulato dai ricercatori, entro il 2030 il 40 per cento dell’energia dello Stato potrebbe essere ottenuta dal vento, il 38 per cento dal sole e il resto da una combinazione di energia idroelettrica, geotermica e marina. I ricercatori hanno calcolato con precisione quanti e quali impianti di energie rinnovabili sono necessari per soddisfare il fabbisogno energetico della popolazione.
Ogni anno potrebbero essere evitati 4.000 decessi legati all’inquinamento dell’aria e lo Stato potrebbe risparmiare circa 33 miliardi di dollari di costi sanitari (il 3 per cento del PIL). La conversione energetica di New York si ripagherebbe, così, in 17 anni o addirittura in soli dieci anni in caso di vendita di energia elettrica.
Fonte: Rinnovabili