Fonte: Francesco Longo
Le lettere di John Cheever sono l’anello di congiunzione tra letteratura e vita. Dopo i Racconti e i taccuini, Una specie di solitudine, nel 2015 Feltrinelli ha pubblicato i suoi carteggi.
Si trova tutto quello che si può desiderare attraversando la soglia del mondo Cheever: astici mangiati in veranda, preoccupazione per la scrittura del romanzo, uragani, la bellezza del matrimonio, la salsa di mirtilli, l’attesa delle recensioni, moltissima New York – come se si potesse vivere solo lì, e l’amata campagna con foglie che ingialliscono, laghi neri e laghi ghiacciati – troppi bicchieri di gin, la spina nel fianco dell’invidia e della vergogna, lo sconforto ciclico: «È raro che passi un giorno senza che il collasso dello scaldabagno o l’esattore della Consolidated Edison non inibiscano le mie ambizioni letterarie».
Nelle lettere le estati finiscono, tra rose e picnic, il resto è felicità e attesa: «Ho passato molta della mia vita ad aspettare treni, aerei, barche, rumori di passi, campanelli, lettere telefonate, nevicate, piogge, tuoni, ecc.».