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Quando l’etichetta diventa ostica

L’additivo alimentare è per definizione una sostanza aggiunta intenzionalmente, a differenza del contaminante (residuo di pesticidi, farmaco, metallo in polvere) che vi si ritrova per sbaglio.

Inoltre l’additivo si distingue dall’aroma, che è una sostanza isolata chimicamente o vegetale aggiunta per migliorare o intensificare i caratteri organolettici.

Pur comparendo nella lista degli ingredienti, l’additivo non è un principio nutritivo perché non è consumabile normalmente di per sé. Anzi, di per sé non si riesce nemmeno a mangiarlo né berlo, poiché tossico, aggressivo, indigesto o perfino nauseabondo.

La sua aggiunta nell’alimento fresco (per esempio: anidride solforosa ai fichi secchi permessa nel convenzionale, ma vietata nel biologico e biodinamico) o nell’alimento trasformato va sempre dichiarata in etichetta (con l’eccezione dell’acido sorbico, conservante della crosta dei formaggi teneri).

La composizione degli additivi per il convenzionale è molto varia: esistono acidi antimuffa, grassi di bassa qualità per emulsionare, naftoli e derivati del petrolio per colorare, alghe e frutti per addensare, derivati della soia per legare l’acqua ai grassi, antischiumogeni per le macchinette distributrici di caffè, miglioranti per le farine raffinate, anidridi antimicrobiche, molecole sintetiche antiossidanti.

Spesso la stessa famiglia chimica comprende sostanze naturali innocue vicino a molecole ricostruite in laboratorio o peggio ottenute da sottoprodotti industriali.

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Informazione

Questa voce è stata pubblicata il 20 settembre 2010 da in Consumatori & Utenti, Sicurezza alimentare con tag , , , .