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Poco spazio al supermercato per l’olio extravergine di qualità eccellente

in sintesi un articolo di Claudio Peri (presidente del Centro Studi per la Qualità dell’Accademia dei Georgofili) che leggo su Il Fatto Alimentare

Il mercato dell’olio extravergine di olivaè dominato da un’agguerritissima competizione sul prezzo che scoraggia la produzione di oli di eccellenza, e tende a omologare la qualità distruggendo la varietà dei profili sensoriali.

Questa situazione dove è oggettivamente difficoltoso valorizzare gli oli di qualità superiore si può spiegare con la “Teoria dell’informazione asimmetrica” che ha valso al prof. George Akerlof  dell’Università di Berkeley il premio Nobel per l’economia nel 2001. Il metodo è molto semplice. La premessa è che in molti mercati gli acquirenti si fanno un’idea del valore medio attribuito ad alcuni prodotti, anche se solo i venditori ne conoscono in modo preciso il reale valore. Questa asimmetria d’informazione fra venditori (che sanno l’origine, la qualità e il prezzo) e i consumatori (che invece non sono in grado di giudicare la qualità del prodotto), rappresenta un incentivo per i venditori a proporre beni con una qualità commerciale inferiore alla media.

Le catene di supermercati in questa situazione hanno una grande responsabilità perché con le loro politiche di promozione influenzano la percezione dei clienti del rapporto qualità/prezzo. Se la concorrenza  tra le catene è condotta esclusivamente tramite offerte al ribasso come accade per l’extravergine di oliva, di fatto si limita moltissimo la possibilità di vendere un prodotto di qualità eccellente cui corrisponde un prezzo elevato.

La competizione nel mercato degli extravergini si combatte esclusivamente a colpi di 3X2 oppure offrendo oli firmati da grandi aziende al prezzo di 3-4 euro a bottiglia; è difficile far attecchire l’idea di un olio di alta qualità da vendere a 14 o 20 euro/l?

La sensazione dei consumatori di fronte a queste offerte al ribasso esclude un prodotto eccellente e costoso dall’orizzonte degli acquisti. Il discorso non trova analoghi riscontri nell’area del vino, dove la persona che osserva gli scaffali non si meraviglia di trovare bottiglie di vino da tavola vendute a pochi euro al litro a fianco di bottiglie di grande marca e prestigio che costano decine di euro.

Un’altra criticità che influenza negativamente il mercato dell’olio extravergine riguarda le frodi che si sono registrate negli ultimi venti anni, creando dubbi e perplessità sull’identità e le caratteristiche.

La lista delle false dichiarazioni più frequenti comprende:

– la frase “produzione propria” sull’etichetta anche quando si confeziona un olio di diversa provenienza;

– l’indicazione di un’origine quando si imbottiglia un prodotto di origine diversa;

– la dicitura “olio novello” quando la miscela comprende olio dell’anno precedente

– la scritta  “olio biologico” quando il prodotto è ottenuto da olive coltivate con metodo convenzionale

– l’indicazione monocultivar di un prodotto proveniente da cultivar diverse…..

Un altro aspetto da considerate è la carenza normativa che lascia poco spazio alla definizione e alle caratteristiche del prodotto di eccellenza. Si arriva al paradosso che i limiti utilizzati per definire un extravergine sono così ampi da includere sia oli mediocri sia oli eccellenti. Inoltre secondo la legge un olio con questi standard mediocri può riportare sull’etichetta la dicitura “di qualità superiore” creando qualche problema di comunicazione rispetto al consumatore. Alla fine non c’è da meravigliarsi se al supermercato davanti allo scaffale degli oli la gente non sa cosa scegliere, per cui spesso si orienta basandosi esclusivamente sul prezzo.

Un ulteriore svantaggio da considerare riguarda gli scarsi controlli sulle condizioni di conservazione, distribuzione e commercializzazione delle bottiglie. Queste fasi sono critiche ma spesso vengono sottovalutate. Se si compra un’auto o un vestito, la garanzia offerta dal produttore viene trasferita integralmente al consumatore, nel caso dei prodotti alimentari deperibili non avviene la stessa cosa, perché le prestazioni sensoriali e nutrizionali dipendono moltissimo dalle condizioni in cui sono conservati, trasportati, ed esposti gli alimenti per la vendita. Diciamo che in molti casi a causa di un difetto nelle fasi finali della filiera, la qualità dell’olio che arriva sulla tavola risulta inferiore rispetto a quella esistente al momento della produzione.

Le conclusioni sono:

– l’eccellenza tra gli extravergini non è collegata solo a particolari origini o cultivar, ma riguarda l’intera la filiera;

– le condizioni ottimali devono essere controllate e garantite sia nella fase di commercializzazione sia durante la conservazione e anche nel momento d’uso da parte del consumatore.

Si dovrebbe sviluppare una “filiera corta”, da intendersi non solo come riduzione chilometrica, ma come minor numero di intermediari tra produttore e consumatore, con una forte trasparenza del sistema e controlli.

Sul mercato ci sono decine di aziende che propongono extravergini DOP, certificazioni biologiche affiancate da certificazioni di conformità alle norme ISO, ma si tratta solo di un punto di partenza necessario come titolo di garanzia per il consumatore. Occorre un’ulteriore garanzia del sistema di distribuzione e di vendita in grado di rispettare e nobilitare il prodotto.

Sarebbe importante la promozione dell’eccellenza nell’ambito degli extravergini da parte della GDO, proponendo prezzi remunerativi per le aziende agricole.

Le catene di supermercati hanno una posizione privilegiata perché il consumatore si fida dell’insegna e quindi accetta anche di vedere sugli scaffali oli eccellenti valorizzati a dovere e con un listino adeguato. Per questo è necessario attivare accordi contrattuali e di collaborazione diretti fra le aziende agricole produttrici e supermercati. Si deve sviluppare una sorta di filiera corta per i prodotti di eccellenza non basato solo sui chilometri. L’accordo fra un supermercato di Milano e un produttore di ortaggi della Sardegna è una filiera corta, se il controllo delle condizioni e dei tempi di consegna è garantito “dal campo alla tavola”. Il punto critico non sono i chilometri, ma la trasparenza del sistema e i controlli rispetto al consumo finale.

Questo modello viene già adottato in alcune nicchie di eccellenza, offre garanzie al consumatore e permette alla distribuzione di migliorare la propria immagine e anche i profitti. Più lenta risulta invece la capacità delle organizzazioni dei produttori, dei responsabili del settore agroalimentare e degli stessi organismi di certificazione a percepire le potenzialità di questo approccio.

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Questa voce è stata pubblicata il 31 luglio 2012 da in Alimentazione, Cucina & Ristoranti, Consumatori & Utenti, Leggo & Pubblico con tag , , , .