Io consumo abitualmente mele ma dato che le mangio con la buccia, a morsi, compro solo quelle Bio che peraltro lavo sotto l’acqua, poi le lascio in immersione in acqua e bicarbonato e seccessivamente le sciaquo sotto acqua corrente.
In ogni caso ritengo interessante leggo oggi su Rinnovabili.it dove peraltro si fa riferimento all’indagine di Greenpeace, intitolata “Il gusto amaro della produzione intensiva di mele”.
Trovo preoccupante il fatto che: 7 dei pesticidi trovati non sono attualmente approvati dall’Unione Europea, ma possono essere utilizzati solo previe deroghe temporanee.
Residui di pesticidi sono stati trovati nei due terzi dei campioni di terra e acqua prelevati nei meleti, ma c’è di peggio: il 70% dei pesticidi identificati presenta livelli di tossicità molto elevati per gli esseri umani e per l’ambiente.
In un singolo campione di suolo raccolto in Italia sono state rilevate fino a 13 sostanze chimiche diverse, e 10 in un campione di acqua.
Questo vuol dire, in parole povere, che quando si mangia una mela italiana, spesso si assumono veleni.
L’indagine di Greenpeace analizza uno scenario da incubo, e propone soluzioni ecologiche grazie ad esempi di pratiche di agricoltura sostenibile che evitano di contaminare il suolo e l’acqua.
Un ecosistema agricolo in equilibrio è la chiave per una produzione sostenibile, di mele come di altre colture.
Aumenta la resilienza a parassiti e malattie e, al contempo, favorisce i nemici naturali dei parassiti – come le vespe – attraverso una maggiore disponibilità di polline e nettare.