Come scrivevo tempo fa Prosciutto di Parma e San Daniele: al Tg non sento nulla, ma il problema c’è… ed infatti il velo di silenzio avvolge tutto.
Degno di nota leggere nell’articolo de Il Fatto Alimentare che anche i Consorzi di tutela del marchio hanno optato per il silenzio, contando sul fatto che la cosa vada nel dimenticatoio.
Può un consumatore fidarsi della tutela (presunta) di un Consorzio che non dice una parola?
Dopo di che è ovvio che questo Blog è minuscolo e non merita l’attenzione del Consorzio di Parma al quale in ogni caso avevo scritto, senza ricevere risposta, così come ho scritto per altri motivi ad un piccolo produttore di salumi che ha capito una cosa fondamentale: Se l’Azienda (alimentare) dialoga con il consumatore, è un vantaggio per entrambi
Segue un breve riassunto dell’articolo, giusto per ricordare la vicenda, tuttavia consiglio la lettura integrale dell’articolo:
Lo scandalo prosciuttopoli, pur avendo coinvolto una quantità enorme di cosce della filiera del prosciutto crudo di Parma e di San Daniele, è un argomento dimenticato.
La storia inizia nel 2014, con un gruppo di almeno 140 allevatori che vendono suini destinati alla lavorazione per i prosciutti di Parma e di San Daniele provenienti da razze non riconosciute dal disciplinare come adatte.
I prosciuttifici, per bocca del Consorzio di Parma, dicono che era impossibile distinguere le cosce di Duroc danese dal suino italiano pesante.
Queste affermazioni destano più di una perplessità, e non tutti sono d’accordo, come abbiamo già scritto.
Si vorrebbe fare credere che gli aderenti ai Consorzi, siano stati così distratti da non accorgersi che oltre 1,2 milioni di cosce non erano adatte a diventare prosciutti Dop per via della resa inferiore e per il livello organolettico insufficiente.
Difficile pensare che la truffa sia passata inosservata ai veterinari degli enti di certificazione, agli operatori dei macelli, alle aziende di stagionatura e alle grandi marche che vendono al dettaglio.