Testi & foto di Mikychica.lettrice
Oggi vi parlo di #laprigionedineve. Ho sempre trovato la follia interessante. Affascinante.
Il modo in cui la nostra mente è in grado di generare voci, visioni, paure, terrori sconosciuti, anche quando l’intero mondo esterno testimonia la loro infondatezza.
Nel bellissimo libro della Watson, la follia non è un qualcosa di eclatante, non rimbomba in ogni pagina;” La prigione di neve”, la follia è un qualcosa di riflesso.
Noi sappiamo che è lì, possiamo percepirne la presenza, è chiara, nitida, ma trasparente.
Ci sono due bambini. Asta e Orion. Sette anni lei, nove lui. Piccoli particolari dosati qua e là ci aiutano a dipingere un quadro dalle tinte fosche: sono chiusi in casa, anzi: barricati.
Carta catramata ricopre le finestre, catenacci si rincorrono sulla porta di ingresso, il cibo scarseggia.
La voce di Asta si muove lungo stanze illuminate da una luce fioca, ed è la sua assoluta spontaneità a fare luce su quello che potremmo chiamare “un quieto orrore”.
Quello che colpisce, e in qualche modo atterrisce, il lettore, è la dolcezza, l’assoluta dedizione con la quale questa bambina parla di sua madre.
Nemmeno per un momento la sfiora il dubbio di una menzogna, e come potrebbe accadere?
Quello che ci tiene avvinti alla storia è lei: Asta. Il suo amore incondizionato per la madre.
La sua passione per un libro di cinema zeppo di fotografie di star del muto. L’affetto per Orion, l’attenzione ai dettagli.
Asta è una piccola, lucida, palpitante osservatrice, il suo respiro lieve esce dalla pagina per giungere a noi, e l’eco dei suoi passi svelti continua a risuonare dopo l’ultima pagina…