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Le piste ciclabili servono? Mi scrive FIAB Ciclobby

Facendo seguito al mio post  Ai ciclisti servono le piste ciclabili? che ha fatto nascere un interessante dibattito in merito, soprattutto fra ciclisti che hanno espresso in maniera dettagliata ed argomentata il loro sentire, pubblico oggi la mail inviatami da Eugenio Galli,  Presidente di Ciclobby, al quale avevo scritto, da “automobilista e non ciclista” per avere un parere in merito.

Lo ringrazio molto per il suo intervento. Paoblog

Caro Paolo,

avevo trovato la sua mail molto stimolante e interessanti le sue considerazioni, e mi ero ripromesso di risponderle con i dovuti approfondimenti.

Poi sono subentrati due problemi.

Il primo è il mio perenne congestionamento di attività (non solo quelle professionali di lavoro ma anche quelle, spesso non meno impegnative, dell’associazione) che mi ha sottratto il tempo necessario per impostare una risposta argomentata.

Il secondo è che, visitando il blog, ho visto molti interventi, non sono riuscito a leggerli tutti (si sono aggiunti i temi della sicurezza dopo la legge recentemente approvata…) e questo ha incrementato il senso della mia impotenza.

Nel frattempo avevo anche inoltrato il suo messaggio ad alcune persone della nostra associazione. E magari qualcuno le avrà anche risposto.

Però, dato che sono abituato a rispondere ai messaggi che ricevo, non volevo lasciare del cadere del tutto la questione.

Dico questo. Le migliori esperienze (a livello europeo) insegnano che non è dalle piste ciclabili, ma da un mix di interventi che nasce una buona ciclabilità.

Le piste ciclabili (infrastrutture che attuano il principio di separazione del ciclista dal traffico) sono una soluzione estrema, una extrema ratio che va adottata quando non è possibile garantire altrimenti la sicurezza del ciclista.

Ad esempio, quindi, sulle strade urbane di scorrimento dove la velocità del traffico è elevata (nel rispetto delle norme stradali). A Milano possono esserne esempio viale Fermi e viale Forlanini.

In tutti gli altri casi, che sono sicuramente la larga maggioranza, occorre trovare la soluzione più confacente attraverso accorgimenti diversi: corsie ciclabili (che sono qualcosa di meno delle piste, nel senso che non hanno una separazione fisica, bensì solo segnaletica orizzontale e verticale) e soprattutto interventi di moderazione del traffico che, agendo sulla struttura fisica della strada, costringono i veicoli a motore a tenere una velocità compatibile con la sicurezza degli altri utenti della strada (in primis pedoni e ciclisti).

Il senso è questo.

Se guardiamo ancora per un istante a una città come Milano, la cui rete stradale ha uno sviluppo di 2500 km, l’obiettivo deve essere di rendere ciclabili in sicurezza tutte le strade.

Se questo è l’obiettivo, il modo in cui poi lo si raggiunge va valutato caso per caso, strada per strada: solo moderazione del traffico, corsie, piste ciclabili.

E concludo segnalando che è un gravissimo errore quello di ridurre tutti i temi e le esigenze della mobilità ciclistica alle sole piste ciclabili. Lo si intuisce anche da quel che accennavo sopra.

Ma per non lasciare ulteriori equivoci, conviene chiarire che una seria politica della mobilità ciclistica deve occuparsi di almeno quattro filoni (tutti suscettibili di ulteriori approfondimenti).

I principali filoni di intervento di una accorta politica di sostegno della mobilità ciclistica sono riconducibili ai seguenti:

1. mobilità (piste e corsie ciclabili, moderazione del traffico, segnaletica);

2. sosta (attrezzature di parcheggio diffuse in città e nei principali punti di attrazione);

3. intermodalità bici-mezzi pubblici;

4. servizi all’utenza (bike sharing, ciclostazioni, infopoint, cartografia, campagne informative, etc.).

Per ora direi che è tutto, un saluto cordiale

Eugenio Galli