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Un libro: L’olocausto sconosciuto. Lo sterminio degli italiani di Crimea

Il 29 gennaio, due giorni dopo Il giorno della Memoria, ricorreva il 70°anniversario della strage di migliaia di italiani residenti in Ucraina, da parte della polizia di Stalin.

E’ successo che sul Blog qualcuno si lamentasse dello spazio che ogni anno riservo al ricordo dell’Olocausto. Qualcuno avanza tesi di negazionismo che non voglio neanche commentare, qualcun altro si è stufato che si parli sempre dell’Olocausto e degli ebrei, dimenticando peraltro che non sono morti solo ebrei nei forni e nei lager.

A prescindere da ciò e dal fatto che secondo me il 27 Gennaio ha un significato che va oltre il genocidio consumatosi in quegli anni, resta il fatto che molti altri massacri tendono a passare sotto silenzio o, peggio, non sono neanche conosciuti dalla massa.

Io ad esempio non conoscevo la vicenda narrata in questo libro e della quale sono venuto a conoscenza tramite un articolo di Stefano Vergine, letto questa settimana su Vanity Fair.

Inizialmente avevo pensato di riassumere la vicenda partendo apppunto dall’articolo, ma avendo trovato in rete il libro scritto da Giulia Giacchetti Boico, nipote di deportati che da anni raccoglie materiale su quegli avvenimenti e Giulio Vignoli, professore di Diritto internazionale dell’università di Genova che da tempo si occupa delle minoranze italiane che vivono nell’Europa orientale, ritengo sia meglio affidarsi alle loro parole, tratte dal sito dell’Associazione Ucraina-Italia.

°°°

di Giulia Giachetti Boico e Giulio Vignoli

Settimo sigillo – Pagg. 90 – € 13,00 (lo puoi comprare QUI)

Tra il 1830 e il 1870 giunsero in Crimea, nel territorio di Kerc, città portuale che collega il Mar Nero e il Mar d’Azov, due flussi migratori dall’Italia attratti dal guadagno promesso da fertili terre. Si trattava di circa duemila persone provenienti soprattutto dalla Puglia dediti principalmente all’agricoltura. Le difficoltà di comunicazione con l’Italia contribuirono a preservare in questi gruppi le tradizioni originarie. Dopo la Rivoluzione d’ottobre del 1917, cominciò il calvario per i nostri connazionali.

La storia della piccola comunità in Crimea si intrecciò con la complessa tragedia del comunismo sovietico. Nell’ambito del piano di collettivizzazione delle campagne, le autorità sovietiche promossero nei pressi di Kerc la costituzione di un colcos italiano dal suggestivo nome “Sacco e Vanzetti”. I nostri connazionali, piccoli proprietari terrieri, provarono a resistere e alcuni decisero di tornare in Italia.

Le autorità moscovite, inoltre, inviarono a Kerc esuli italiani antifascisti per fare propaganda marxista e chiudere la chiesa cattolica costruita dai primi emigranti nel 1840. Negli anni Trenta, come conseguenza delle purghe staliniane, la comunità dei nostri connazionali in Crimea (presenti oltre che a Kerc pure a Feodosia, Taganrog e in altre località) si ridusse ulteriormente. Molti italiani, accusati di essere spie fasciste vennero arrestati, fucilati o mandati in Siberia. La prima epurazione si ebbe nel 1933, una seconda più massiccia nel 1937.

Alla fine di gennaio 1942, con la liberazione da parte dell’Armata Rossa della Crimea occupata l’anno prima dalle truppe naziste, l’intera comunità italiana venne deportata in quanto popolazione dichiarata fascista. Il viaggio, che avvenne parte via mare e parte via terra, si concluse in Kazakistan. Una volta giunti a destinazione i deportati vennero collocati in baracche sperdute nella steppa con erbe e radici come nutrimento. In tali condizioni i decessi nelle località d’arrivo, dopo quelli avvenuti durante il viaggio, furono numerosissimi.

Nel libro sono riportate parecchie testimonianze di sopravvissuti di quella odissea. Parecchi di loro furono obbligati alla schiavitù dalla Trudarmia, la cosiddetta “Armata del lavoro”, che si servì di uomini e donne sopra i 14 anni per lavori faticosi. Alla fine degli Cinquanta, con il processo di destalinizzazione, alcuni italiani deportati riuscirono a tornare a Kerc. I beni che erano stati loro confiscati non vennero restituiti.

Nel 1992 è sorta l’Associazione degli italiani di Crimea che si sta adoperando per far riottenere la cittadinanza italiana ai nostri connazionali. Si tratta di un iter burocratico alquanto complesso perché molti documenti personali sono andati dispersi durante le deportazioni o sono stati sequestrati a suo tempo delle autorità sovietiche.

Le autorità diplomatiche italiane, prima di concedere la cittadinanza, vogliono avere le prove che questi connazionali ne fossero stati in possesso prima di aver avuto quella sovietica.

La situazione è complicata inoltre dal comportamento del governo ucraino il quale, ancora oggi, seguita a non riconoscere le deportazioni affermando che manca la documentazione che le comprovi.

Attualmente in Crimea coloro che si dichiarano italiani sono all’incirca 300, concentrati principalmente a Kerc e a Simerfopoli. Si tratta di una comunità che pur avendo perso ogni legame mantiene viva la convinzione di essere italiana: alcune tradizioni, come le feste religiose, seguitano a essere rispettate e diversi componenti hanno ripreso a studiare la lingua italiana.

Questa comunità sta oggi conducendo una duplice battaglia. Da un lato vuole che l’Ucraina e la Crimea riconoscano ufficialmente la deportazione con tutte le conseguenze giuridiche relative.

Dall’altro sta facendo pressione affinché il nostro paese restituisca la cittadinanza agli italiani di Crimea e ai loro discendenti che la richiedono, sulla falsariga di quanto è stato fatto per i connazionali dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.

Un commento su “Un libro: L’olocausto sconosciuto. Lo sterminio degli italiani di Crimea

  1. Diemme
    7 febbraio 2012

    Molto interessante, grazie per la segnalazione.

I commenti sono chiusi.

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