Tea – Pagg. 277 – € 12,00
Trama: È cambiato Andrea Lucchesi. Ha sfiorato la morte e, se questa volta ha vinto lui, il prezzo che ha dovuto pagare è alto: adesso ha paura. Paura di ogni sigaretta che accende, di ogni bicchiere che si concede, ma soprattutto paura di essere, di restare solo.
Forse è per questo che un giorno, uscendo dalla Questura milanese di piazza San Sepolcro, Lucchesi si accorge di quell’uomo, che, all’angolo di via del Bollo, dispensa saggezza ai passanti, a chi ha tempo per fermarsi ad ascoltare un vecchio, un filosofo. Lucchesi ha tempo, adesso, per ascoltare, per capire. Sì, è cambiato l’ispettore Lucchesi. Ma non è il solo.
Se l’indagine su una serie di furti d’arte in cui si troverà coinvolto appena rientrato in azione è fin troppo vicina a quella risolta pochi mesi addietro, in realtà nulla è come prima.
Le persone che ha incontrato allora sembrano divertirsi a sovvertire ogni aspettativa: la contessa Urbinati, il commissario Pepe, i collezionisti d’arte, la collega Marchesi,..
Nulla e nessuno è come sembra, per Andrea Lucchesi, che per risolvere questo caso dovrà esser disposto a svelare e accettare verità amare sulle persone all’apparenza a lui più vicine. Verità che cambieranno la sua vita per sempre.
Letto da: Paolo
Opinione personale: Mi è piaciuta anche questa nuova indagine dell’Ispettore Lucchesi, già conosciuto nel precedente Piazza San Sepolcro, tittavia per quel che mi riguarda l’accoppiata tra il commissario Miceli e l’ex-giudice Petri è imbattibile.
Piazza San Sepolcro si chiudeva con l’ispettore colpito da un infarto e di conseguenza lo ritroviamo ora al termine della convalescenza, con quel nuovo approccio alla vita tipico di la vita l’ha quasi persa; resta però l’incapacità di gestire i rapporti personali con le donne che gli ruotano intorno, in primis con l’ex-moglie che, proprio perchè “ex” come tale dovrebbe essere trattata (civilmente, ma ognuno stia al suo posto) 😉 a meno di volersi complicare la vita.
L’indagine è sicuramente interessante, ed uno dei colpi di scena, lascerà l’amaro in bocca, tuttavia alcune parti del libro sono un pò telefonate e facili da intuire. E’ un bene perchè le trame troppo complicate spesso annoiano, ma nel contempo si perde un pò per strada la suspence necessaria in un giallo.
Poco credibile una situazione collegata al menù del pranzo e cena domenicale mi ha lasciato un pò lì. Leggete e poi mi direte.
Una piccola aggiunta arriva dalla Signora K che lamenta uno stile di scrittura un pò fuori tempo, vecchio; cita quale esempio il fatto che nei dialoghi si usi (od abusi) del nome del personaggio; nella vita reale infatti non è che ogni volta che si rivolge ad una persona la si chiami per nome e, ancor più stridente è ad esempio quando Carolina (collega, amica e forse qualcosa di più) di Andrea arriva a casa sua, suona il campanello del portone e quando lui risponde al citofono, lei dica: Sono Carolina Marchesi…. da quando fra amici e colleghi ci si presenta per nome & cognome?
Questa cosa, devo dire, l’avevo già notata, un formalismo tra personaggi che mi è sempre apparso eccessivo, così come ad esempio tra Miceli e Petri che dopo anni di lavoro insieme ed un rapporto di amicizia, si danno del Lei (e ci sta) ma addirittura si rivolgono l’uno all’altro con il titolo: Commissario Miceli … Giudice Petri; dal mio punto di vista è una scrittura che stona, ma che accetto come tale.
La Signora K che diversamente da me, ad esempio, è più tollerante verso refusi ed errori, ha ritenuto invece questo manierismo oltremodo fastidioso.
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