Amerigo cammina per le vie di Napoli dietro la madre Antonietta, donna di poche parole («le chiacchiere non sono arte sua»), spiando le scarpe della gente.
È il suo gioco preferito: scarpa sana, punto vinto, scarpa rotta, punto perso. Le sue, di scarpe, lo fanno camminare un po’ storto, perché sono di seconda mano, e mai del numero giusto.
Il padre non ce l’ha, è partito per l’America a cercar fortuna, ma in compenso nel vicolo ha molti amici.
Tutti lo conoscono e lo chiamano Nobèl, perché parla tanto e sa un sacco di cose, dato che ascolta le storie di chiunque. Un giorno, però, Amerigo deve lasciare il vicolo e soprattutto la madre.
È il 1946 e, come migliaia di altri bambini del Sud, sale su uno dei treni che attraversano l’intera penisola per andare a trascorrere un anno in una famiglia del Nord.
Il Partito Comunista ha creato una rete di solidarietà per strappare i piccoli alla miseria delle zone più devastate dall’ultima guerra.
Prima smarrito e nostalgico, poi sempre più curioso, a Modena Amerigo si affeziona alla nuova famiglia e, attraverso il «papà del Nord», scopre pure un talento per la musica.
Sarà proprio questo, al suo ritorno a Napoli, a segnare il distacco doloroso da Antonietta, che non riesce più a capirlo.
Fino a quando, cinquant’anni dopo, lui non tenta di ricomporre quella lacerazione, anche se è ormai troppo tardi.