di Pieter Aspe
Ediz. Fazi – Pagg. 301 – € 18,00
Trama: Quarto episodio della serie che ha come protagonista Pieter Van In, il poliziotto più scontroso del Belgio, appassionato di belle donne e di birra Duvel, sul punto di diventare padre quando è chiamato a occuparsi di morti più che sospette e di crimini oscuri.
Una giovane donna, Trui Andries, viene trovata cadavere in un canale di fronte alla propria casa. Di lì a poco, il suo fidanzato si getta dal quarto piano dell’ospedale psichiatrico dove è stato ricoverato per aver tentato di uccidere la madre.
Van In fatica a credere alla tesi del doppio suicidio. Tanto più che un giovane orfano – ladro e tossicodipendente -, di cui Trui si è occupata tempo prima, rivela che loro tre avevano appena tagliato i ponti con una misteriosa setta satanica.
Quando poi un attentato mortale all’uscita della messa dalla chiesa di Sint-Jakob, in pieno centro di Bruges, provoca la morte di otto persone, Van In, convinto che i fatti siano legati tra loro, brancola nel buio.
A coronare il tutto, mentre la sua compagna Hannelore sta per portare a termine la gravidanza, il capo della polizia gli impone la presenza di un’affascinante giornalista, incaricata di una inchiesta sui rapporti tra gendarmeria e polizia…
Letto da: Paolo
Opinione personale:
E’ una critica affettuosa la mia, in quanto il bilancio complessivo delle letture dei libri di Aspe è positivo, tuttavia facendo riferimento ai libri letti in precedenza, questo è quello che mi è piaciuto meno; la storia è un pò fumosa ed a tratti diventa noiosa.
Le vicende di Van In, i suoi comportamenti (talvolta infantili 😉 ed irritanti) ed il rapporto con il brigadiere Versavel, nonchè l’approssimarsi della paternità, danno un tocco di brio al libro. Dal mio punto di vista la vicenda poliziesca è poco credibile ed il colpo di scena finale toglie qualità, piuttosto che aggiungere interesse.
Nota aggiuntiva: Anche in questo libro resta il solito problema, che ho anche segnalato alla Fazi Editore in occasione del nostro contatto, e che ripeto anche in questa occasione, per i nuovi lettori di Aspe, ovvero la presenza nel testo di alcune frasi lasciate in lingua originale, e che sia tedesco, inglese o francese, cambia poco.
Come già detto non è che tutti i lettori possano essere poliglotti e se la frase in lingua originale è funzionale al testo (ad esempio: un gioco di parole intraducibile, ma spiegato a margine) mi sta bene, sennò ricordiamoci che i libri non sono mica dei dvd, non ci sono i sottotitoli.
Se tali frasi, però, non hanno significati particolari, allora perché lasciarle in lingua originale?
Confondono il lettore al quale, di fatto, manca un pezzo di dialogo. Se per ragioni a me sconosciute, sia assolutamente necessario lasciare queste frasi, suggerisco una traduzione in calce alla pagina.
In questo romanzo, in particolare, è citato un brano tratto da A Tale of two Cities, di Charles Dickens, tutto in lingua originale. Come detto se l’autore lo ha riportato è perchè riteneva avesse un senso per il lettore che però, se non sa l’inglese, si trova spiazzato.
A seguire troviamo spesso l’esclamazione Tiens che in francese significa Come. Si parla poi dello jenever, si suppone un liquore ed in effetti ho letto che si tratta di un gin olandese.
Dello stesso autore: Il quadrato della vendetta – Caos a Bruges – Le maschere della notte
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