di Jean Luc Bannalec
Piemme – Pagg. 305 – € 16,90 > lo vendo ad € 7,00 + spese spedizione
Trama: C’è una cosa che il commissario Dupin detesta più di ogni altra: essere disturbato mentre beve il caffè. Da qualche tempo – cioè da quando è stato trasferito dalla capitale in Bretagna, in seguito a “certe controversie” associa quel rito mattutino alla lettura dei quotidiani locali: fonti preziose per studiare l’animo bretone e i costumi insoliti di quella gente ai confini del mondo (e della civiltà, per i suoi standard di parigino fino al midollo).
Ma è proprio mentre si gode una generosa dose di caffeina che il più zelante dei suoi ispettori lo disturba per comunicargli una notizia che ha dell’inaudito: un omicidio a Pont-Aven, il pittoresco borgo di pescatori che sta per riempirsi di villeggianti in quell’estate insolitamente calda.
E la vittima è nientemeno che Pierre-Louis Pennec, novantunenne proprietario del mitico Hotel Central, segnalato su tutte le guide come luogo di soggiorno di celebri artisti, tra cui Paul Gauguin.
Il commissario Dupin dovrà districarsi tra le pressioni delle autorità locali, che temono di veder compromessa la stagione turistica, e l’ostinato silenzio degli autoctoni, seguendo una pista che sembra condurre proprio a una tela del famoso pittore.
Letto da: Paolo
L’incipit: Era una magnifica giornata d’estate, quel 7 luglio. Una di quelle grandiose giornate atlantiche che mettevano solitamente di buonumore il commissario Dupin. Il blu che sembrava regnare dappertutto, l’aria era molto calda già di prima mattina, a dispetto del consueto clima bretone, e al tempo stesso limpida: ogni cosa possdeva un’aura chiara e nitida. Solo la sera prima era parsa la fine del mondo: una massa densa e minacciosa di nuvole nere aveva attraversato il cielo, scaricando con violente raffiche di vento una pioggia torrenziale.
Opinione personale: Durante la lettura l’autore, tramite Dupin, tira una stoccata ai soliti commissari che fumano e bevono troppo, il che mi ha fatto capire subito che saremmo andati d’accordo; in occasione dell’opinione scritta circa il primo romanzo, di Gianni Simoni avevo scritto: un poliziesco fatto come si deve, con un personaggio principale che finalmente esce dallo stereotipo del poliziotto solo ed infelice, con il ricordo costante di un’ex-moglie, magari un figlio e, perchè no, con una relazione traballante.
Ed infatti ecco il commissario Dupin che abusa solo dei caffè, ma non nei bicchieroni cui ci hanno abituati i detective delle serie tv americane, ma del caffè fatto come si deve, consumato seduto in un bar, nella tazzina. Un commissario sicuramente taciturno ed a tratti ombroso, ma che è riuscito a dare un senso ad un trasferimento (disciplinare) dalla capitale in una cittadina bretone, dove gli altri, tanto più i parigini, restano sempre dei forestieri, anche dopo anni.
Non raggiunge la simpatia del Commissario Brunò, ma tramite i suoi occhi si riesce a cogliere al meglio il territorio bretone, i suoi abitanti e l’orgoglio bretone, che avevo già conosciuto nelle indagini dell’ispettrice Mary Lester.
A differenza di quanto indicato in copertina non è un giallo ricco di colpi di scena e non c’è molta tensione, ma un’indagine lunga e complicata dal fatto che inizialmente è difficile trovare un movente e, una volta arrivati alla svolta, da un’abbondanza di sospetti. Un libro piacevole, senza essere travolgente.