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Il tempo che ti piace buttare, non è buttato. (J. Lennon)

Smettiamola di darci del tu, grazie

pensieri paroleA me dà veramente fastidio quello che ti chiama al telefono o ti scrive per la prima volta e mi da del Tu, così come il cliente che al ristorante pretende il lei dal cameriere, ma gli da del tu.

 Quando vai in banca dai del tu al direttore? Perchè no? Perchè occupa una “certa posizione” mentre il cameriere o il muratore “vale meno”?

Quindi è come l’avessi scritto io, questo articolo di Fabiana Giacomotti su Lettera43, del quale pubblico una sintesi:

È stato gentile il premier Matteo Renzi apostrofando pubblicamente con un affettuoso «tu» l’avvocatessa Lucia Annibali sfregiata con l’acido che affrontava il processo contro il suo ex fidanzato.

Era un modo garbato per farle sentire la vicinanza di tutta la nazione in un momento doloroso almeno quanto quello dell’aggressione.

Ci sono momenti della giornata in cui faremmo volentieri a meno di essere avvicinati in seconda persona singolare e ci sentiremmo molto più a nostro agio in terza: dalla commessa della profumeria mai vista prima, per esempio, ma anche dal managerino in giacca e cravatta che vuole sapere la strada per via Bigli o dai ragazzini che reclamano una sigaretta e già bisogna interpretarne lo slang.

Il tu è una forma sottile di violenza che mira ad abbassare le difese in nome di una vicinanza che nessuno ha chiesto, che in genere non si vuole dare e che in nulla assomiglia alla seconda persona, singolare e plurale, dei pronomi della lingua inglese, il famoso you ubiquo che è l’argomento principe dei sostenitori del «tu» in questi anni di apparentamento ai modi anglosassoni.

L’uso corretto del «tu» presuppone un grande uso di mondo, e scusate il bisticcio di parole: fra colleghi è quasi d’obbligo, ma tutti i redattori di un grande quotidiano, per esempio, sanno che l’uso del tu con il direttore incontrato alla macchinetta del caffè non dà accesso automatico al suo ufficio o al racconto di cosa si è fatto la sera prima.

Un signore con uso di mondo sa che sarà la signora con cui sta parlando a proporre di passare al tu e non viceversa. Cosa piccola, insomma, ma sfumature solo in apparenza.

Un Paese che funziona ha bisogno anche di forma, cioè di regole. Mentre Il «tu» generale e generalizzato è solo un’altra imposizione fra le tante che già ci toccano. Almeno questa, possiamo evitarla.

a supporto del post, girato in anteprima a qualche amico, arriva il commento di Madamin:

Sono d’accordo in tutto e per tutto. Ancora oggi ci sono persone che frequentano il locale che si danno del tu con la cassiera ma ai quali io non riesco proprio a dare del tu, sebbene li veda allo stesso modo tutti i giorni e li “pratichi” anche di più.

Forse è perchè, anche senza parlare, trasmetto: “sei un cliente, ti rispetto e ti ringrazio – ma non sei mio amico”?

Lo stesso vale per gli agenti dai quali ordino: sebbene li conosca -alcuni – da 10-12 anni, ancora do del lei e non mi pesa affatto, non mi costa alcuna fatica (e sai che ancora oggi tuo papà e tua mamma sono i Sigg. M. e non mi passa neanche lontanamente dalla testa di passare al tu, ma non per distacco, anzi, gli vogliamo bene e sono molto affezionata, ma questo non significa che, se dessi loro del tu, vorrei loro più bene. No!).

Nota di Paoblog: Questo commento dell’amica mi porta alla mente i rapporti che ho con il papà di Spugna ovvero la persona che definisco, anche in pubblico, come “mia sorella”.

Suo padre lo conosco da una vita, in ambito lavorativo e sebbene ci sia una certa differenza di età, abbiamo raggiunto un alto tasso di confidenza, che ci ha portato a condividere l’un l’altro anche momenti molto personali, eppure mentre io lo chiamo per cognome, lui mi chiama Signor M. ed anche in questo caso, come raccontava l’amica Madamin, il darsi del lei non sminuisce affatto il grado di confidenza e familiarità che abbiamo.

Molte delle mie amicizie sono nate in ambito lavorativo, penso a Lory la Ricciola, Elena, Silvietta, Madamin, Gigi, Miro, Ele la Silente, tutte persone con le quali ci siamo date del Lei per mesi come per anni, ma ad un certo punto è scattato un qualcosa che ci ha fatto fare simultaneamente un passo avanti verso l’altro ed in questo contesto il darsi del tu non è mai stato vissuto come un’invadenza dello spazio personale.

Ben diverso ad esempio quel che accade con certi clienti che ti danno sempre del tu e sono pure più giovani. E la confidenza del “tu” porta poi all’uso di forme di linguaggio piuttosto discutibili come un certo cliente che al telefono quando è contrariato infarcisce la conversazione con raffiche di bestemmie che a me, e lo dico da non credente, danno un gran fastidio.

Posso dire ad un cliente che è un maleducato? Purtroppo no. 😦

Se mi desse del lei, avrebbe un simile linguaggio? Lo avrebbe con il già citato direttore della banca? Dubito.

Ed ecco quindi che il darsi del lei, in talune situazioni permette di limitare la familiarità non voluta e non pertinente, mettendo dei paletti ben precisi.

In ambito Blog in genere dò del tu alla maggior parte delle persone, ma ad esempio con Maurizio Caprino del Sole24Ore uso il lei, pur scrivendogli mail frequenti e piuttosto informali.

Con Barbara, la giornalista che collabora con Mimandarai3 invece uso il tu.

In entrambi i casi va bene così, in quanto entrambe le forme sono condivise dall’altro.

Dagli amici che hanno letto in anteprima il post sono arrivati altri commenti che preferisco incorporare direttamente nell’articolo.

Scrive Francesco:

Ogni volta che vedo “La Grande Bellezza”, ieri per la nona volta, la prima in televisione ovvero non sul grande schermo, scopro nuove e diverse sfumature di ragionamento.

Ieri, per l’appunto, mi sono senza volere concentrato, tra l’altro, su di un particolare già notato ma non a sufficienza sviscerato prima.

Jap Gambardella si rivolge, almeno nelle prime fasi di conoscenza anche abbastanza durature, sempre dando del lei all’interlocutore.

Si tratti della performer Talia Concept; di Alfredo, il marito vedovo della sua ex fidanzata; o di Ramona (Sabrina Ferilli) figlia del suo amico di lunga data Egidio con la quale instaura un rapporto di complicità.

Egli dà del lei ricambiato, subito, con il tu. Indipendentemente dal “tipo” di persona che ha davanti.

Eppure, in tutti i casi: egli è la figura predominante, la persona “importante” a cui ci si rivolge o in cui ci si imbatte per qualche motivo non casuale e di convenienza o richiesta di aiuto.

Forse il tu è un modo, aggressivo, per colmare una distanza di inferiorità.

Scrive Poppea:

La penso allo stesso modo, il tu lo si può dare a persone con cui hai confidenza.

Ho apprezzato venerdì scorso la dott.ssa  che ha praticato l’eutanasia al mio gatto, avrà avuto circa 30 anni è stata comprensiva, mi ha baciata quando ci siamo salutate ma ha sempre rispettato un cortese “lei” nonostante fosse collega di un’altra veterinaria mia amica con cui ci diamo del tu 

Scrive Ele di Siena:

Sono molto poco formale, ma sono molto educata… per cui con chi non conosco personalmente uso il lei, salvo chiedere se il caso lo necessita: possiamo darci del tu?

Perchè il lei mi da davvero fastidio e psicologicamente frappone una distanza tra me e l’interlocutore che di norma mi mette a disagio…

E dire che mi costa fatica usare del lei perchè provenendo dal partito comunista in cui dall’avvocato al manovale ci diamo tutti del tu, sono abituata, almeno sul lavoro, a dare sempre del tu e sono portata ad usarlo anche fuori.

Però, come in ogni cosa – ma questo mondo pare averlo dimenticato – ci sono delle regole di buona educazione per cui sta alla persona decidere cosa necessiti fare sul momento…

Interessante anche questo passaggio, letto in questo articolo:

La dittatura del tu, in effetti, riguarda ormai i rapporti tra persone che si conoscono appena, tra colleghi di lavoro, coi clienti, con i destinatari dei messaggi pubblicitari, con gli elettori. E ha portato con sé un deciso abbassamento del registro linguistico medio di tutti gli italiani.

Come notava Cesare Segre in un articolo del 2010, «i giovani sono quelli che sembrano ignorare di più i registri, e con ciò stesso si mettono in condizione d’inferiorità, perché mostrano di non aver rilevato, nel parlare, che la scelta linguistica denota la loro attitudine a posizionarsi rispetto ai propri simili».

5 commenti su “Smettiamola di darci del tu, grazie

  1. Francesco
    25 giugno 2014

    Se non ci fosse di mezzo il lavoro, che è cosa serie, ci sarebbe da ridere…

  2. paoblog
    25 giugno 2014

    ricevo una richiesta da parte di un cliente che, detto per inciso, non ho mai visto nè conosciuto: “Vedi di quotare quanto in allegato Ciao”

    Tralasciamo un Buongiorno che nella prima mail della giornata ci sta, quel “vedi di quotare” ha un che di perentorio e di sgarbato…

    costava così tanto scrivere “puoi quotarmi quanto in allegato”?

  3. Pingback: Io insisto, perchè non comunicare in italiano con gli italiani? | Paoblog

  4. Paoblog
    6 marzo 2014

    in linea generale, si, ma poi ad esempio, ho trovato molti contatti lavorativi del Sud che hanno una forma di cortesia molto marcata, che passa anche attraverso il Lei…

    mentre ad esempio il cliente bestemmiatore cui mi riferisco è di Brescia. 😉

  5. Ele di Siena
    6 marzo 2014

    un’altra riflessione che mi viene spontanea…
    credo che l’uso del lei e del tu sia anche molto caratterizzato dal luogo…

    noi toscani, molto aperti, compagnoni, ironici, siamo molto più portati al tu con tutti…

    al nord (avendoci i parenti lo noto spesso) siete molto più formali,

    al sud è sottolineata più marcatamente la differenza tra ceti ed il lei viene spontaneo con quello con il macchinone ed in giacca e cravatta mentre al fornaio in bicicletta nessuno darebbe mai del lei…!

    non credi?

I commenti sono chiusi.

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Questa voce è stata pubblicata il 6 marzo 2014 da in Pensieri, parole, idee ed opinioni, Persone & Società con tag , , , , , , , .
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