Ha drenato, bruciato e piantato sulle torbiere protette dalle leggi dell’Indonesia.
È venuta meno a tutti gli impegni presi sulla sostenibilità del suo operato, persino in zone che aveva promesso di proteggere non più tardi del 2014.
Dopo mesi di accuse e controaccuse tra la IOI, una delle principali compagnie del business dell’olio di palma con sede in Malesia, e la Tavola rotonda sull’olio di palma sostenibile (RSPO), organizzazione-ombrello che certifica il rispetto dell’ambiente lungo tutta la filiera del prodotto, adesso spuntano prove inconfutabili.
Le raccoglie Greenpeace in un report; l’area dove la IOI ha sconsideratamente continuato a estendere le sue piantagioni a scapito dell’ecosistema locale è il Ketapang, nella provincia indonesiana del West Kalimantan.
continua la lettura qui: Deforestazione, Greenpeace inchioda i big dell’olio di palma
leggi anche questo articolo de Il Fatto Alimentare: Olio di palma sostenibile e deforestazione, lo scontro tra produttori finisce in tribunale , nel quale si legge, tra l’altro, che:
Unilever, Kellogg, Mars e Nestlé, hanno annunciato in rapida sequenza la rottura del rapporto di fornitura.
Il primo grande gruppo a chiedere l’interruzione della fornitura è stato Unilever (membro RSPO) che utilizza l’8% della produzione mondiale di olio di palma. A seguire è arrivato il comunicato di Kellogg.
Successivamente, anche Mars ha interrotto i rapporti commerciali sino a quando l’azienda risulterà sospesa dalla certificazione.
Nestlé, dopo aver interrotto le forniture dalle piantagioni oggetto delle contestazioni, ha giudicato insufficiente il piano d’azione presentato da IOI e ha deciso di cancellare il gruppo malese dall’elenco dei propri fornitori, portando ad esaurimento i contratti esistenti entro la fine di agosto.